Parole perdute/Morte

Caravaggio_-_San_GerolamoA volte le parole si perdono perché sono le ultime. È il caso di “escatologia”, dal greco “le parole ultime, che riguardano le ultime cose”. È una parola oggi impronunciabile, che quasi fa sorridere i ragazzi che non l’hanno mai sentita e in effetti è difficile sentirla circolare anche se ha un’importanza centrale per il cattolicesimo, proprio come “salvezza” e “grazia”, con le quali realizza un intreccio indissolubile. Parlare della fine, dell’estremo confine della vita ha un impatto duplice sugli studenti: da una parte c’è una sorta di rifiuto, dall’altra si avverte il fascino esercitato da questo argomento. La sfida allora è superare il crinale del rifiuto per giungere a quella prateria dell’interesse, perché la fine della vita interessa nel senso etimologico di “inter–esse”, “stare–dentro”, si trova dentro l’anima degli studenti: la domanda che alberga nel cuore dell’uomo è la domanda sulla fine e sul fine dell’esistenza. Mi concentro e cerco di far concentrare i ragazzi sul molteplice significato della parola “fine”, inteso come termine (al femminile), come scopo (al maschile) e come limite, se lo leggiamo come con–fine.
E qui calo l’asso del latino e cito i “Novissimi”. I ragazzi ignorano di cosa stia parlando, mi tocca spiegare che con questa espressione si fa riferimento alle ultime cose, quelle che verranno, come quando si dice all’edicola, “è uscito il nuovo numero di Tex?”, dove “nuovo” sta appunto per ultimo, il più recente, quello che sta per uscire. E i novissimi, “quelle cose che stanno per uscire” sono, per la teologia, essenzialmente quattro: morte, giudizio, inferno e paradiso. Comincio quindi dall’inizio, dalla morte, ma qui vedo che sorgono già i primi problemi. La dicotomia tra rifiuto e fascino è netta, nel senso che i primi due, morte e giudizio, vengono rifiutati, mentre inferno e paradiso ancora esercitano un grande interesse sui giovani (da qui forse l’imperituro fascino della Divina Commedia di Dante). Se parlo della morte avverto il disagio strisciante tra i banchi, alcuni sono stati già feriti, chi di striscio, chi molto da vicino, da questa esperienza che accomuna tutti gli uomini; forse anche Giulia, la più brava della classe, che esclama: «Ma professore, perché, lei viene a parlarci della morte, a turbare così il mio equilibrio, la mia serenità?», con un tono tra il candido e l’infastidito. Disarmante. Ma anche inquietante: questi ragazzi posseggono un equilibrio, beati loro, e non vogliono turbamenti. Papa Francesco sarà pure “in”, ma non quella sana inquietudine di cui parla ripetutamente. Dovrò riprovare per un altro “valico”, la sfida si fa più ardua del previsto.

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