Parole perdute: Morte/2

ave maria segantini«Sapete come si chiama il giorno della morte nel cristianesimo?», nessuna risposta, i ragazzi non amano parlare della morte e non sanno molto del cristianesimo: «Si chiama dies natalis il giorno della nascita, dell’entrata nella vita piena». Li ho colpiti: la paradossale dimensione della gioia cristiana, anche di fronte al buio che proviene dalla presenza misteriosa della morte li scuote, li irrita, li interroga. «Io non trovo nulla di bello nella morte, che c’è da gioire?», dice sbadigliando Nicola, ultimo anno di liceo, in questa prima ora di una fredda e piovosa mattina di febbraio. Cerco di spiegargli che non c’è bellezza nella morte, ma una cosa è pensare che la morte sia solo la fine, l’interruzione di tutto, il vicolo cieco in cui ci si ritrova dopo il viaggio della vita, un’altra cosa è credere che quella fine sia un confine, un momento di passaggio, un’apertura verso un “venire alla luce” più grande di quello della nostra nascita. «Ma la morte non è nulla – riprende Giacomo – non è nulla perché dopo non esiste nulla, la morte non mi riguarda, come diceva Epicuro». Tre anni di filosofia hanno il loro peso. Colgo l’occasione per sottoporre a critica la visione epicurea per cui «la morte non è nulla per noi, giacché quando noi siamo la morte non è venuta, e quando è venuta non siamo più», che affascina, forse per il suggestivo e consolante gioco dialettico che provo a smontare ripartendo dall’evento opposto alla morte, la nascita. «La società odierna ha finito con il pensare, un po’ come Epicuro, che la morte non faccia parte della vita, che la morte sia l’opposto della vita, ma non è così. La morte è l’opposto della nascita, non della vita. Entrambe fanno parte della vita, anzi ne sono gli ingredienti salienti, le due colonne che reggono la nostra esistenza sulle quali però non riflettiamo, la prima perché persa nell’oblio, la seconda perché rimossa a causa dell’angoscia che l’avvolge. Eppure, il vivente è un morente e il morente è un vivente. La morte non si subisce come un corpo estraneo che irrompe all’improvviso ma fa parte della vita e getta una luce sul suo mistero, come momento della verità. La morte si vive e si vive con lo stesso stile con cui si è vissuta la vita».
Difficile far rientrare dalla finestra ciò che è stato sbattuto fuori dalla porta, la morte, quell’ospite sgradito che è stato rimosso come un veicolo in sosta vietata; ma oggi, in Occidente, è la sosta stessa a essere vietata: non ci si può fermare, magari sostare un attimo a meditare, no, nessuna interruzione al flusso frenetico del fare, produrre e del consumare, un flusso questo sì, che puzza di morte.

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