Distinguere, non dividere

Venus_botticelli_detailIl giudizio: è questo forse il passaggio più difficile nell’indagine sui novissimi, fondamentale parola perduta del cristianesimo. Anche al tema del giudizio, come a quello della morte, i ragazzi sono allergici, dimostrando una iper-sensibilità che suona paradossale, visto poi l’uso e l’abuso che fanno del giudicare. Proprio come nel caso nella morte, vivono immersi in contesti (come la scuola, ma anche la società, i media…) in cui il giudizio è praticamente dappertutto e al tempo stesso mostrano una vera repulsione verso l’essere giudicati. Sono apodittici, categorici e tranchant, ma anche delicatissimi e insofferenti a ogni tipo di giudizio che cali sulla loro persona.
Viene in mente la provocazione del cardinale Biffi, per cui oggi non si sarebbe perso il senso del peccato, perché invece è molto vivo il senso del peccato altrui. Viviamo il tempo della denuncia fine a se stessa, la denuncia come evento salvifico che serve da sfogo e catarsi.
Viene in mente anche un’altra provocazione, quella del filosofo Roger Scruton, che si è chiesto perché il mondo stia diventando più brutto e ha trovato una risposta nella dimensione “giudicante” della bellezza. Ricorda Scruton l’episodio del Padiglione d’oro di Kyoto, il tesoro più prezioso dell’architettura giapponese, che nel 1950 fu incendiato da un monaco, un novizio di 22 anni, Hayashi Yoken, che subito dopo tentò il suicidio. Il motivo addotto dall’autore fu l’estrema bellezza del Padiglione, che egli avvertiva come un giudizio negativo su se stesso. I ragazzi mi ascoltano con un’attenzione che rimane però fredda, forse capiscono quello che racconto ma non lo “sentono”.
Cerco allora di avvicinarmi di più al loro vissuto e faccio l’esempio di due innamorati chiedendo: «Cosa si dicono l’un l’altro?». Esitano e quindi mi tocca citare una famosa canzone di Gianni Morandi: Non son degno di te. Tutti o quasi non la conoscono, però non ignorano il sentimento che vibra sotto: «Non è questo sentimento di indegnità, di inadeguatezza, un segnale che dice che ci si trova davanti a qualcosa di grande?». Ma c’è un’altra canzonetta che mi viene contrapposta da Beatrice: Nessuno mi può giudicare (anche se lei ignora Caterina Caselli e il suo casco d’oro). Capisco infine perché la battuta del Papa rivolta ai gay, “chi sono io per giudicare?”, abbia fatto il giro del mondo: c’è una disperata e confusa richiesta di misericordia, quella virtù che l’uomo non riesce a tenere insieme alla giustizia, ma che in Dio coabitano. È proprio vero come dice Silvano Fausti che «dividere è la morte, distinguere è la vita».
(Il presente articolo è apparso nella rubrica Parole perdute il 26 febbraio 2014 su Avvenire)

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