Parole perdute: santità (non perbenismo)

via strettaSì, forse la colpa è anche un po’ di noi cristiani, se l’enorme bagaglio della nostra fede, che per venti secoli ha nutrito l’umanità, si è oggi così rattrappito fino a mostrare un volto che è l’opposto, la caricatura, della sua essenza: il moralismo.
Parlare dei “novissimi” ai giovani del terzo millennio è toccare con mano come, essendosi smarrito il senso morale, che pure dal cristianesimo scaturiva come diretta conseguenza dello stupore dello scoprirsi amati da un Dio misericordioso, sia rimasto in piedi solo una maschera falsa e accartocciata, la brutta erba del vuoto moralismo.
Per secoli la predicazione dei cristiani si è concentrata sul concetto di premio e di pena eterna e così, quando si arriva a parlare di inferno e paradiso, le caselle scattano automaticamente e non è piccola la sorpresa quando spiego che l’inferno non è proprio una punizione come possiamo intenderla noi uomini. Mi guardano incuriositi, persino increduli. Faccio l’esempio del cioccolato: se ne mangio troppo e rubo anche la parte spettante a mio fratello, mamma mi può punire e non mandarmi in gita, ma prima ancora c’è un’altra “punizione”, che consiste nel fatto che mi sento male, ho un’indigestione, mi spuntano i brufoli e ingrasso fino all’obesità.
Tutto questo non è tanto una punizione, ma è la somma degli effetti della mia condotta. Così sarà l’inferno: continuare a vivere dopo la morte come ho vissuto per tutta la mia vita, pieno di brufoli e di chili di troppo e privo di fratelli. Fare il male equivale a stare male, non ci sono punizioni in aggiunta.
C’è chi, come Federico, continua a provocare dicendo che è meglio il male e il peccato rispetto alla noia ripetitiva del bene. Vorrei citare le parole spese da Benedetto XVI sulla gioia della vita di fede contro la noia della vita appesantita dal peccato, ma scelgo anch’io la via della provocazione: «Ma voi pensate che i santi siano persone per bene?». Ammutoliscono, qualche ragazza ha sulla punta della lingua un bel, tragico, «sì!», ma io procedo spedito: «Beh, se fosse così allora sì che sarebbe una gran noia il paradiso!». «Ma allora chi sono i santi?», sbotta Irene, non ce l’ha fatta a trattenere la domanda. «I santi sono persone che fanno splendere la luce di Cristo, che si sono arresi al suo amore e si sono lasciati attirare in questa grande avventura che è la storia d’amore tra un Dio trinitario e le sue creature: la santità e la comunione dei santi sono le avventure più vivaci e drammatiche che possiamo vivere, e possiamo davvero, tutti, nessuno escluso».
Forse troppa teologia in questa lezione, un po’ de-moralizzante, ma, penso, a volte ci vuole anche questo.
(da Avvenire del 26 marzo 2014)

1 commenti a “Parole perdute: santità (non perbenismo)

  1. La citazione di Benedetto XVI a margine della tua riflessione mi ricorda una frase di Chesterton: “La castità non è l’assenza di colpe sessuali, è qualcosa di sfolgorante come Giovanna d’Arco”

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