Il 22 febbraio nella Basilica di San Pietro, per il concistoro che ha creato 19 nuovi cardinali, si è presentato a sorpresa anche il Papa emerito Benedetto XVI. L’immagine di Papa Ratzinger che si toglie il copricapo in un saluto di omaggio a Papa Bergoglio ha già vinto la gara per la foto dell’anno 2014. Una sorpresa appunto perchè un anno prima Benedetto XVI aveva annunciato, in latino, la sua decisione di dimettersi e di rimanere “nascosto al mondo”. E così è stato, con qualche eccezione, pochissime in verità, meno delle punta delle dita di una mano sola, rarissime occasioni in cui il mondo ha potuto ancora rivedere Joseph Ratzinger. Rivederlo, magari in una foto (in cui si saluta e abbraccia con il suo successore che, così si è saputo, lo va spesso a trovare) oppure rileggerlo, come nel caso di buona parte della Lumen Fidei o della recentissima lettera del 24 gennaio al collega teologo Hans Kung di cui è stato reso pubblico l’elogio al Papa argentino: “Io sono grato di poter essere legato da una grande identità di vedute e da un’amicizia di cuore a Papa Francesco. Io oggi vedo come mio unico e ultimo compito sostenere il suo Pontificato nella preghiera”. E il 22 febbraio il mondo lo ha potuto rivedere proprio lì, nel luogo “papale” per eccellenza, a due passi dal baldacchino del Bernini sotto la cupola di San Pietro. L’effetto è un po’ strano, in effetti, e alcuni, forse gli stessi che non hanno ancora digerito il gesto clamoroso delle dimissioni, hanno storto il naso: “ma non aveva detto che spariva?”.
Perchè lo avrà fatto Benedetto? Nostalgia? Incapacità a restare recluso? Difficile a dirsi. Secondo me c’è qualcosa che lega la lettera del 24 gennaio con l’apparizione del 22 febbraio, un legame che si ritrova nella parola “compito”. Ratzinger è un uomo quieto e diligente, che sa, come scriveva il gesuita Teilhard de Chardin che “c’è un’opera umana da compiere”, che ogni uomo vive la sua vita – lo ha detto anche quando era Papa regnante – come una risposta ad una chiamata, una risposta da dare con generosità, anche se questo può costare sacrificio, anche se può voler dire rinnegare se stessi. Il compito che oggi il Papa emerito sente come impellente è sostenere il Papa governante; e se questo significa anche muoversi, uscire dalla clausura per andarlo ad abbracciare, in un momento in cui crescono le voci dissenzienti rispetto al Papa venuto dalla fine del mondo, allora ci si alza e si va, anche se si era promesso al mondo il totale nascondimento (anche perchè le voci di chi dissente tendono continuamente a contrapporre i due Papi, a mettere Francesco contro Benedetto).
Tutta la vita di Ratzinger è stata servire il Papa, magari contraddicendo i propri desideri e progetti, sin da quando Paolo VI nel 1978 lo ha nominato vescovo e poi Giovanni Paolo II lo ha voluto a Roma dal 1981 a tenere l’ingrato incarico di prefetto della Congregazione della dottrina delle fede. Ed è quello che oggi l’anziano pontefice continua a fare.
Un vero e proprio shock ha colpito i gesuiti quando il 13 marzo scorso è stato eletto il primo Papa gesuita, espresso efficacemente all’indomani dell’evento da padre Antonio Spadaro, direttore della Civiltà Cattolica: “Noi gesuiti facciamo quattro e non tre voti, l’ultimo dei quali è quello di totale fedeltà al Papa; siamo stati da sempre abituati a servire il Papa, ora dovremmo abituarci ad una cosa assolutamente nuova, ad avere un Papa gesuita, forse non siamo ancora pronti”. Il Papa “vero” è Bergoglio, ma forse è Ratzinger il vero gesuita?