Papa in cattedra

 

Papa ombrelli2Proprio quando le difficoltà che trovavo nello spiegare ai miei studenti cosa significhi essere santo ed essere Papa stavano diventando insormontabili ecco che mi è venuto in soccorso l’aiuto più sorprendente: il Papa stesso. Sabato 10 maggio è stato proprio Papa Francesco a invitarci alla sua “lezione”: in piazza San Pietro eravamo più di trecentomila provenienti da tutti Italia per un incontro-festa per la scuola e l’educazione organizzato dalla CEI.

Esponenti di tutta la scuola italiana, di ogni ordine e grado, statale e paritaria, al suono della campanella e dopo aver fatto l’appello (ovviamente non per nominativo ma per aree geografiche), abbiamo parlato e ascoltato la parola del Sommo Pontefice in un incontro articolato in una prima fase in cui alcune scuole hanno raccontato la propria esperienza e in una seconda in cui il Papa ha spiegato i motivi per cui ama la scuola ricordando il suo passato di studente e di docente.

Lo spirito è stato quello impegnativo della festa e non del facile lamento, ma il momento più significativo è stato forse quello prima del suono della campanella, quando il Papa è entrato in quell’aula speciale rappresentata dal colonnato del Bernini e si è messo a girare “tra i banchi”: ci ha messo più di mezz’ora a fare su e giù per tutta la piazza e per via della Conciliazione (gremita fino a Castel S.Angelo) scendendo spesso dalla papa-mobile per salutare e abbracciare di persona alcuni dei suoi studenti. Il discorso che poi il Papa ha rivolto è stato intenso e stimolante, bellissima la citazione dell’antico detto africano “per educare un bambino ci vuole un villaggio”, ma la vera “lezione” che tutti hanno potuto apprendere è stata in quell’abbraccio che ha ricordato a tutti che la trasmissione del sapere non è un fatto necessariamente an-affettivo come ogni tanto si è tentati di credere. I ragazzi questo già lo sanno, ma i docenti, ed erano tanti insieme a me tra quei trecentomila, forse faranno qualche fatica in più ad apprendere la dura lezione che nasce dalla gestualità del Papa. Il punto è che insegnare (“segnare dentro”) non è un fatto di parole ma piuttosto di gesti, non è un fatto intellettuale ma sensuale, in cui tutti i cinque sensi sono messi in gioco: è un gioco serio, l’educazione, e se l’educatore non si mette in gioco la magia non scatta. Ho visto gli occhi dei miei studenti che erano con me, anche loro abbracciati e salutati dal Papa mentre faceva la sua lezione, e ho pensato che la magia era scattata; una bella “ricarica” per me, in questa fine d’anno quando si è tutti un po’ provati, e insieme una grande responsabilità.
(Apparso su Avvenire il 21 maggio 2014)

 

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