Con la lunga sgroppata sul tema della santità e della felicità siamo arrivati alla fine dell’anno scolastico e allora provo a recuperare le parole perdute partendo da loro, dai miei studenti: quali sono le loro e non le mie parole? Quale la parola che può servire a definirli? Questi 500 ragazzi che ogni settimana mi trovo davanti, lì, seduti tra quei banchi sempre più stretti, chi sono? Cosa pensano? E cosa pensano di se stessi? Forse basta chiedere, e allora sulla lavagna scrivo la frase “Noi giovani siamo:” e invito tutti ad alzarsi e scrivere un aggettivo che possa rappresentarli. All’inizio c’è silenzio, timidezza, imbarazzo, poi qualcuno si alza e la lavagna si riempie, anche di sorprese.. Impossibile raccoglierli tutti questi aggettivi, ma ciò che colpisce è il segno negativo che accompagna la maggior parte degli aggettivi: distratti, distaccati dalla realtà, superficiali, stanchi, arrabbiati, ipnotizzati, assenti, dubbiosi, senza valori, soli, abbandonati, alternativi, illusi, omologati, stupidi, insicuri, curiosi, sinceri e diretti, demotivati, menefreghisti, maleducati, egoisti, incompresi.
Non c’è da stare allegri insomma. Non parole perdute, ma parole lucide che dicono di esistenze perdute o quasi. Gli faccio presente che il giudizio che si sono auto-inflitti è quasi tutto nero, senza luce (meno male che qualcuno ha parlato di curiosità e sincerità) e che forse hanno esagerato, ma non vogliono cambiare idea, a quei pugnali che li trafiggono inchiodandoli alle loro responsabilità ci rimangono aggrappati, forse per far crescere la rabbia mista a rassegnazione (parola assente anche se c’è quel “demotivati” che tanto gli assomiglia) che sembra essere il mix esplosivo o implosivo dei ragazzi nati a cavallo tra il secondo e il terzo millennio.
Guardano la lavagna, con quello sfondo nero che sembra prevalere sulle scritte bianche e parlano tra loro, confermandosi in questo spietato auto-identikit ed io non posso non pensare alla responsabilità di noi adulti, educatori e genitori, penso a mio figlio di 19 anni che senza dubbio è un tipo “curioso” (in tutti i sensi di questa parola), e mi chiedo: dove abbiamo sbagliato?
Mi viene in mente il giovane ricco del Vangelo che se ne va triste senza lasciarsi coinvolgere da Gesù. Triste, una parola che è assente ma terribilmente presente in quell’elenco, ma forse ciò che è rimasto assente è un’altra cosa: lo sguardo d’amore di Gesù che, scrive Marco, “fissatolo, lo amò”, che non garantisce la fine della tristezza, come l’epilogo dell’episodio suggerisce, ma è quella luce che tutti i giovani, di sempre, desiderano.