Parole perdute: salutando i ragazzi

flat,550x550,075,fÈ arrivato giugno, la scuola chiude: è il momento dei saluti. Come ho detto il 10 maggio al Papa, durante la festa per la scuola italiana voluta dalla Cei, questo è il compito essenziale di ogni vero insegnante.
Salutare è un’antica parola perduta oggi, che letteralmente vuol dire augurare la salvezza, ma il “sano” si è mangiato il “salvo”, per cui la salvezza è sparita a favore della sua sorella minore, la salute, ma sostanzialmente indica l’atteggiamento di gioia gratuita e di libertà che rende significativa ogni vita umana e in particolare quella del professore, chiamato a in-segnare, a segnare dentro.
Gioia gratuita: la felicità dell’incontro, che porta a esultare. Spesso ripeto ai miei studenti che solo un incontro può cambiare la nostra vita, per cui è bello accogliere l’altro quando incrocia la nostra strada con un’esclamazione di gioia. I modi e le espressioni possono essere innumerevoli; molti tra i miei studenti del liceo Albertelli di Roma mi salutano con il sintetico “bella prof!”, ma si può arrivare anche all’elfico, come vorrebbe Arianna, che, conoscendo la mia passione tolkieniana, chiede da tempo un corso nelle lingue della Terra di Mezzo e allora le rispondo con: «Elen síla lúmenn’omentielvo», cioè: «Una stella brilla sull’ora del nostro incontro», come dice Frodo a Gildor all’inizio del Signore degli anelli.
Gioia gratuita, ma anche libertà: salutare all’inizio, ma anche alla fine dell’incontro. Cosa forse più difficile perché non è semplice lasciar andare, lasciare vivere questi giovani, che magari per cinque anni (un prof di religione lavora su “piani quinquennali”) hai visto crescere e diventare da bambini usciti dalle medie a uomini e donne pronte per affrontare l’università, il lavoro, la vita… Non è facile, ma è quello che bisogna imparare a fare, questo è il vero “saluto”: essere felici che l’altro sia, che sia se stesso, che vada per la sua strada. Un po’ come il padre che insegna al figlio ad andare in bicicletta: per un po’ lo mantiene ma poi smette di trattenerlo e lo lascia andare.
Per questo quando anni fa ho creato un gruppo su Facebook dove ogni giorno continuo a dialogare con più di mille fra studenti ed ex-studenti, l’ho chiamato «Arrivederci ragazzi!» come il bel film di Louis Malle: per fare come padre Jean, il sacerdote che dirige il collegio estivo francese e che, anche quando va a morire nel campo di concentramento, si sofferma un attimo per salutare, pieno di incoraggiamento, i suoi ragazzi, diventando il seme che muore e produce molto frutto.
Il suo lieto saluto, pieno di fiduciosa speranza (ci rivedremo!) è un modello per ogni educatore e lo riscopro oggi, come ogni anno, nel momento in cui i portoni della scuola si richiudono nuovamente.

(apparso su Avvenire l’11 giugno 2014)

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