Squadra che vince, si cambia

 

Bilanci-squadre-di-calcio-BarcellonaE così anche la Spagna esce dal mondiale, dopo la seconda sconfitta consecutiva, questa volta ad opera del Cile. Viene in mente il malinconico esito dell’Italia del 2010, quando il C.T. Marcello Lippi realizzò un errore doppiamente sciagurato: tornò indietro sulla saggia decisione che nel 2006 lo aveva spinto a dimettersi all’indomani del mondiale vinto, e tornò indietro anche nella formazione della nazionale richiamando il gruppo reduce della vittoria di quattro anni prima. Così, oggi, la Spagna: stesso C.T., stesso gruppo-squadra. Insomma questi ultimi episodi dei mondiali di calcio ci hanno insegnato una cosa, che tornare indietro è impossibile e quindi privo di senso, per cui non è affatto veritiero il detto, nato proprio in ambito sportivo, che recita “squadra che vince non si cambia” e che spesso viene esportato (con uguale perniciosità dunque) anche in altri ambiti, si pensi ad esempio alla politica. Alla luce di questi episodi (ma la serie potrebbe essere molto più lunga) è chiaro invece il contrario: squadra che vince deve assolutamente essere cambiata altrimenti l’insuccesso è inevitabile. L’appagamento, dovuto al successo, porta a “sedersi”, a sentirsi sazi, a perdere fiducia, grinta e speranza, a perdersi e a perdere.

C’è invece un’altra grande narrazione, che non ha a che fare con lo sport, che insegna la saggezza della vita come “cambiamento continuo”, ed è la lezione che scaturisce dal Vangelo e che Papa Francesco ha ben racchiuso nella sua raccomandazione: “il cristiano deve avviare processi, non occupare spazi”. Questa saggezza può valere nel calcio, ma deve essere la regola nella politica, dove l’occupare spazi può facilmente diventare l’anticamera della cosiddetta “questione morale”.

Il modello di riferimento resta sempre Gesù, che già nel primo capitolo del Vangelo più antico, quello di Marco, risponde così al fenomeno della sua fama che subito si diffonde in lungo e in largo: “Al mattino si alzò quando ancora era buio e, uscito di casa, si ritirò in un luogo deserto e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce e, trovatolo, gli dissero: «Tutti ti cercano!». Egli disse loro: «Andiamocene altrove per i villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!». E andò per tutta la Galilea…” (Marco 1,28-39). Gesù non si ferma al successo raggiunto, ma va “altrove”, sposta sempre il baricentro (quello suo e quindi quello dei suoi seguaci) di qualche grado in modo da non riposarsi, non cadere nella scontatezza della ripetitività.

cenacoloE la paradossalità di Gesù, il suo essere “segno di contraddizione” vale in tutte e due sensi: per lui non solo “squadra che vince si cambia”, ma è vero anche il contrario, per cui “squadra che perde non si cambia”. Per capirlo si deve passare dall’inizio della sua predicazione alla fine della sua avventura terrena, quando, dopo la resurrezione, non appare ad altri uomini, magari migliori di quella squadra degli undici apostoli che certo non avevano dato una bella prova di sé, ma torna proprio da loro, da quegli amici, codardi e traditori. Il segreto di questo gesto paradossale è in quella parola lì, “amici”. In questo caso allora il “tornare indietro” è possibile e acquista un senso profondo, alto: allargare lo spazio della possibilità, restituire all’uomo ferito un’altra occasione di riscatto, dargli quell’iniezione di fiducia di cui tutti gli uomini hanno bisogno, per ritornare sui propri errori e riprovare a superare quegli scogli che a prima vista appaiono invincibili.
Michael_Jordan_Net_WorthChi vince può solo perdere, così come solo se si perde si può vincere, proprio come diceva di sé uno dei più grandi atleti della storia dello sport di tutti i tempi, Michael Jordan: “Nella mia vita ho sbagliato più di novemila tiri, ho perso quasi trecento partite, ventisei volte i miei compagni mi hanno affidato il tiro decisivo e l’ho sbagliato. Ho fallito molte volte. Ed è per questo che alla fine ho vinto tutto”.
(questo articolo è apparso su Avvenire il giorno 19 giugno 2014)

 

2 commenti a “Squadra che vince, si cambia

  1. “Squadra che vince deve assolutamente essere cambiata non tanto perché l’appagamento, dovuto al successo, porta a “sedersi”, a perdere fiducia, grinta e speranza”, quanto perché la situazione che ci si trova ad affrontare cambia continuamente come la vita ed è ad essa che ci si deve riferire.
    Il confronto è con una realtà mutevole sulla quale vanno misurati e calibrati gli sforzi.
    Una riflessione interessante, che invita a pensare.
    tita

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