Religione=relazione/2

jovanottiReligione vuole dire relazione. Quando lo dico, gli studenti si sorprendono, non se l’aspettano, pensano che religio, significhi “regola”, che la religione sia questo: una rete di regole, convenzioni, obbligazioni, qualcosa di pesante, di insopportabile.
Anche quelli che ignorano il latino e l’etimologia sono convinti che la religione sia fondamentalmente una gabbia, una costrizione, un codice fatto per lo più di doveri, senza diritti e pieno di molti cavilli antiquati. Ed invece io ricordo a tutti che religio viene da res-ligare, un verbo che cerca di descrivere quel fenomeno, che l’uomo coglie con stupore e trepidazione, per cui tutte le cose sono collegate, connesse una con l’altra.
La vita stessa è relazione, proviene dalla relazione e alla relazione tende. Qui è facile spiegare: la nostra nascita scaturisce dalla relazione dei nostri genitori, e il figlio è così strettamente collegato alla madre da essere “legato” a lei da una “corda”, il cordone ombelicale. Un legame che si romperà definitivamente solo quando verrà sostituita da un’altra relazione, quella amorosa.
E qui c’è un’altra bellissima parola per dire relazione: storia. Ecco cos’è la religione che scaturisce dalla Bibbia, una storia, una storia d’amore e quindi di salvezza. O l’esistenza umana è una storia oppure è mera vita biologica, ma per essere storia deve esserci relazione, quella cosa che ci sostiene ogni giorno sino alla fine.
Eppure, oggi, questa parola, non è perduta, ma sfuggente: per alcuni sinonimo di relazione è “resoconto”, per altri il significato giusto è “rapporto”, è però faticoso fare uscire quell’altra parolina, “legame”, a conferma della “liquidità” della nostra società contemporanea, dove a essersi liquefatti sono innanzitutto i legami tra gli esseri umani.
Mi faccio allora aiutare da un contemporaneo cantautore romano, anche se è già “vecchio” per i miei studenti nati nel terzo millennio, Lorenzo Cherubini in arte Jovanotti.
Non ricordo più come andò la prima volta, ma durante una lezione incentrata sul res-ligare è venuto quasi spontaneo citare il ritornello della canzone Mi fido di te, che dice: «…forse fa male, eppure mi va,/ di stare collegato, di vivere d’un fiato/ di stendermi sopra al burrone/ di guardare giù/ la vertigine non è/ paura di cadere/ ma voglia di volare. /Mi fido di te/ cosa sei disposto a perdere?».
Stare collegato può far male, ma è ciò che l’uomo desidera più di ogni altra cosa, per vivere intensamente (d’un fiato); essere legati gli uni agli altri è ciò che rende umani perché la relazione è un rischio vertiginoso, che comporta sempre ingenti costi (cosa sei disposto a perdere?) ma risponde al bisogno più antico inscritto nel cuore dell’uomo.

(il presente articolo è apparso su Avvenire il 9 luglio 2014)

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