Clive Staple Lewis, uno degli autori più letti al mondo, è ancora poco noto alla critica e al grande pubblico italiano che potrebbe stentare a riconoscere nell’autore di questo saggio lo stesso inventore de Le Cronache di Narnia. E invece queste Reflections on the Psalms del 1958 ci mostrano un Lewis al 100% con tutta quella curiosità, fantasia e lealtà che fece innamorare di lui anche un lettore sofisticato come J.L.Borges che elogiava “l’infinita onestà di quell’immaginazione”. E’ la stessa onestà che ritroviamo in questo saggio sin dall’incipit: “Questo non è un lavoro accademico. Non sono un ebraista, né un biblista, né uno storico antico, né un archeologo. Scrivo per gli ignoranti su cose che anch’io ignoro.”.
La speranza che lo ha mosso a questo azzardo è spiegato con un esempio: “succede spesso che due liceali possano aiutarsi a risolvere qualche difficoltà nei loro compiti meglio di quanto possa fare il loro insegnante […] In questo libro perciò scrivo da dilettante a dilettante, discorrendo di alcune difficoltà che ho incontrato o illuminazioni che ho raggiunto nel leggere i Salmi, nella speranza che ciò possa in qualche misura interessare, e talvolta persino aiutare, altri lettori inesperti. Sto scambiando gli appunti, senza la presunzione di istruzione.” Lo scambio degli appunti è quanto mai proficuo per il lettore italiano, che arriva con quasi sessant’anni di ritardo a godersi questo saggio di un genio poliedrico come Lewis (grazie al meticoloso e prezioso lavoro del traduttore/curatore Edoardo Rialti) che non fugge davanti alle pagine più problematiche, come i salmi imprecatori, della Scrittura, che tiene sempre ben presente il delicato rapporto tra Antico e Nuovo Testamento e che forse dà il meglio di sé nel capitolo dedicato al tema della lode, che lui stesso presenta come suo privato divertimento: “durante una discussione, per quanto serio possa essere l’argomento, una piccola pausa comica non fa male (nella mia esperienza le cose più divertenti sono capitate durante le conversazioni più serie e sincere).” In questo capitoletto presentato come marginale, ma che in realtà coglie l’essenza dei Salmi, con piglio molto chestertoniano, Lewis (che anche dalla lettura di Chesterton fu convertito al cristianesimo) osserva che “Non avevo mai notato che ogni appagamento trabocca spontaneamente nella lode a meno che (talvolta anche se) la timidezza o la paura di annoiare gli altri venga deliberatamente messa di sentinella. Il mondo risuona di lodi – amanti che lodano le loro dame, lettori che lodano il loro poeta preferito, camminatori che lodano la campagna, giocatori che lodano il loro sport favorito […] Non avevo notato che sono le menti più umili e al tempo stesso più equilibrate quelle capaci di lodare di più, mentre i fissati, i disadattati e gli scontenti lodano pochissimo. I buoni critici trovarono qualcosa da lodare in molte opere imperfette; i cattivi continuarono a sfoltire la lista dei libri che vanno letti. […] Non avevo neppure notato che, proprio come gli uomini lodano spontaneamente qualsiasi cosa apprezzano, altrettanto spontaneamente invitano a unirsi alla loro lode: Non è delizioso? Non è splendido? Non pensi che sia magnifico? Nel dire a tutti gli uomini di lodare Dio, i salmisti fanno come tutti gli altri uomini quando parlano di ciò che gli sta a cuore”. E’ lo stesso approccio di Lewis, che parla dei suoi interessi, innanzitutto la poesia, coinvolgendo “gli altri uomini”, i fortunati lettori di questo saggio dedicato alla poesia dei Salmi, “poesie pensate per essere cantate: non sono trattati dottrinali e nemmeno sermoni”. Lo può fare perchè con franchezza e lucidità ci provoca ricordandoci che “anche la poesia è una piccola incarnazione, che dà corpo a ciò che dapprima era invisibile e inudibile”.
(“I Salmi, C.S.Lewis, Lindau Torino 2014 172 pp., 19 euro; la presente recensione è apparsa su Il Foglio del 13 settembre 2014)