Croci, serpenti, anelli e paradossi

serpente-di-bronzoCroci, serpenti e paradossi in margine alla liturgia del 14 settembre 2014

La liturgia di oggi ci presenta la figura del serpente di bronzo. Dal libro dei Numeri, cap.22:

Il popolo quindi parlò contro Dio e contro Mosè, dicendo: “Perché ci avete fatti uscire dall’Egitto per farci morire in questo deserto? Poiché qui non c’è né pane né acqua e siamo nauseati di questo miserabile cibo”. Allora l’Eterno mandò fra il popolo dei serpenti ardenti i quali mordevano la gente, e molti Israeliti morirono. Così il popolo venne da Mosè e disse: “Abbiamo peccato, perché abbiamo parlato contro l’Eterno e contro di te; prega l’Eterno che allontani da noi questi serpenti”. E Mosè pregò per il popolo. L’Eterno disse quindi a Mosè: “Fa’ un serpente ardente e mettilo sopra un’asta; e avverrà che chiunque sarà morso e lo guarderà, vivrà”. Mosè fece allora un serpente di bronzo e lo mise sopra un’asta; e avveniva che, quando un serpente mordeva qualcuno, se questi guardava il serpente di bronzo, viveva”.

Mi ha sempre colpito questo brano, che ovviamente è prefigurazione della crocifissione di Cristo, e mi colpisce perchè è proprio il serpente, che prima dà la morte, ad essere scelto come figura salvifica; il male si combatte non pensando di esserne immuni ma attraversandolo, il male può diventare, se ne rovesciamo la logica e ribaltiamo la nostra disposizione rispetto ad esso, una via di salvezza. Il serpente se rimane strisciante per terra (la condanna di Genesi 3) è letalmente insidioso, se invece viene innalzato, diventa verticale (l’asta, l’albero della croce), luminoso (il bronzo), fonte di salvezza. Una storia quasi opposta al mito di Anteo, il gigante che se toccava terra riacquistava la forza; qui il serpente, staccato dalla terra, acquista una nuova forza, ma vitale anziché mortale. E’ il paradosso della croce, il rovesciamento della prospettiva e di tutti gli schemi mentali che immobilizzano il pensiero, il cuore e l’agire dell’uomo, quel paradosso che deve essere accolto, altrimenti non c’è movimento ma paralisi, non vita ma morte. Il che vuol dire ribaltare anche i nostri giudizi e andare fino in fondo alla sfida che il male ci presenta ogni giorno. E scoprire che magari nei nostri difetti e vizi, si annida una luce di speranza e di uscita dal vicolo cieco del peccato.

Mi viene in mente una pagina de Il signore degli anelli, in cui Gandalf racconta ai suoi amici della sua lotta strenua con il Balrog, un “serpente ardente” che lo conduce fino alla morte, anzi oltre alla morte, rivelandosi una “morte” provvidenziale. Ecco come il famoso stregone ricorda il suo duello:

“…disse Gandalf. «Ivi giunsi infine, nelle estreme fondamenta della pietra. E lui era ancora con me. Il suo fuoco era spento, ma ora si era tramutato in un essere di fango e melma, più forte di un serpente strangolatore. Lottammo a lungo nelle profondità della viva terra, ove il tempo non esiste. Sempre mi afferrava e sempre io lo colpivo, e infine fuggì attraverso oscure gallerie. […] Adesso io ho camminato in quei luoghi, ma non narrerò nulla che possa oscurare la luce del sole. Disperato com’ero, il mio nemico era l’unica speranza che avessi, e lo inseguii afferrandogli le caviglie. Così mi condusse dopo molto tempo nei segreti passaggi di Khazad-dûm, che conosceva sin troppo bene. Poi continuammo a salire, sempre più in alto, e giungemmo all’Interminabile Scala».

GandalfFallsWithTheBalrogEcco il paradosso cristiano: il nemico è la mia speranza. Forse anche per questo si deve obbedire al più paradossale dei comandamenti di Gesù, quello di amare i propri nemici.

Il nemico per eccellenza, Satana, viene condannato in Genesi 3 a strisciare, a tentare gli uomini insidiando il loro “calcagno”, le caviglie e invece qui c’è Gandalf che afferra il nemico alle sue caviglie: il ribaltamento paradossale e salvifico si compie.

Ma la liturgia di oggi, festa dell’esaltazione della croce, è tutta all’insegna del paradosso.

La solennità che si festeggia oggi si chiama L’esaltazione della croce, una vera follia se uno sbaglia l’approccio rimanendo al di fuori di quella “stoltezza” che è il cristianesimo. A me viene in mente il verso del MagnificatExaltavit Humiles”: è l’umiltà la virtù più paradossale, la casa del paradosso. E l’umiltà sta nel cuore della fede cristiana, come è evidente dalla seconda lettura di oggi, l’inno cristologico di San Paolo ai Filippesi che canta l’umiltà di Gesù che si umilia scegliendo la morte e la morte di croce, diventando simile a noi uomini perchè non ha considerato la sua eguaglianza con Dio un “tesoro geloso”. E anche qui rispunta Il signore degli anelli.

Tutta la storia narrata nel romanzo di Tolkien gira in fondo intorno a questo problema: ci sono alcuni che considerano l’Anello del Potere un “tesoro geloso” (per Gollum è il tesoro per eccellenza, un tesoro con due “s”, senza il quale non può vivere, perchè “là dove sarà il vostro tesoro sarà il vostro cuore”), e lottano per possederlo, perchè in realtà ne sono già posseduti, mentre ci sono altri che cercano, ma quanto è difficile riuscirci, di non considerarlo un tesoro geloso e sono pronti a spogliarsi di questo potere, di metterlo a servizio di tutti, di condividerlo sacrificandosi, fino alla morte. E’ il cammino di Frodo che si spoglia di tutto (dell’Anello, delle armi, degli amici, della casa, delle sicurezze..) e confida non in se stesso ma in una forza più grande, che possa accompagnarlo a compiere questa missione paradossale per non dire suicida: rinunciare al proprio potere, abbassandosi fino a morire. Questa forza più grande è all’opera e si compie, alla fine, nel modo più paradossale e inimmaginabile, sarà proprio Gollum, il “nemico” (però amato da Frodo), a far cadere l’Anello e distruggerlo, perchè ancora una volta “il mio nemico era l’unica speranza che avessi”.

 
 
 

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