Siamo partiti un anno fa alla ricerca delle “parole perdute” del cristianesimo e la prima sfida fu quella intorno alla parola “salvezza”, e ora ci accingiamo a voltare pagina riflettendo sulla parola “misericordia”, sul fatto che il Dio cristiano non giudica ma perdona, non è un Grande Contabile ma un Padre, anzi una Madre. È la Bibbia che ce lo dice, con le sue immagini e quel suo linguaggio, concretissimo (grande virtù della lingua ebraica) e ci ricorda che “misericordia” è un fatto di “viscere”: rahamim indica proprio le viscere materne che accolgono la vita che nasce. La misericordia allora indica lo spazio fatto dentro di sé alla vita dell’altro, uno spazio di profonda comunione, di sentire con l’altro, di patire e gioire con l’altro. Questa, che è davvero una Buona Notizia, un “vangelo” (altra parola perduta, ebbene sì), non viene subito compresa dai miei studenti liceali: il fatto che Dio non stia lì a condannare ma a perdonare suona sempre come una sorpresa per le loro orecchie. Non so dove e come abbiano appreso questa nozione così distorta ma sta di fatto che la loro immagine di Dio è quella di un giudice severo e pronto a punire, che assomiglia tanto ad un contabile, che col bilancino misura e commisura, punisce e premia a seconda dell’oscillazione dei piatti della bilancia. Forse questo è stato l’obiettivo primario di Cristo nel momento in cui si è incarnato ed è venuto a vivere in mezzo a noi: demolire le nostre idee di Dio, trasformarle dall’idea di giudice a quella di Padre, offrirci dunque un’altra immagine, più aderente al vero, mostrandoci il Suo volto più autentico, attraverso la sua avventura di Figlio.
E così anche un professore di religione s’imbatte prima in questo arduo compito demolitivo: la pars destruens precede sempre quella construens. Forse è questa la fatica maggiore: quotidianamente andare a incidere sugli schemi mentali ormai sedimentati, pronti a diventare luoghi comuni e pregiudizi, anche a causa di un clima culturale improntato al più freddo moralismo. Incidere su queste incrostazioni non è semplice, è duro provare a scorticare e gettare questa visione legalistica e “contabile” della religione, per cui Dio è un po’ come Mike Bongiorno che alla fine del quiz ti rilascia il premio per il punteggio conseguito con la tua performance o ti espelle dalla competizione se non hai raggiunto gli standard minimi. È duro ma va fatto, per spiegare che è così che “Dio salva” (come indica il significato del nome Gesù), con la misericordia: abbracciando i suoi figli, mosso sin dalle viscere. Scatta automatico il riferimento a Papa Francesco, ai suoi abbracci, alla sua insistenza sul “toccare la carne di Cristo”, nell’accoglienza ai fratelli, agli ultimi, ai miseri. Mi sembrano colpiti, all’uscita un ragazzo, timidamente, a modo suo, prova anche ad abbracciarmi: “bella prof!”.
(con questa di oggi, 26 novembre, chiude la rubrica settimanale “Parole perdute” apparsa sulla terza pagina di Avvenire dal 4 dicembre 2013)