(il presente articolo è apparso il 21 marzo 2006 suIl Foglio)
Come ogni anno anche quest’anno si è svolta in Vaticano l’assemblea plenaria del pontificio consiglio delle Comunicazioni sociali, dal 13 al 18 marzo. All’interno della manifestazione una giornata è sempre dedicata al cinema e viene coronata dalla visione di un film nella sala privata del Palazzo San Carlo, sede del consiglio. E’ la sala in cui è entrato più volte da spettatore di film Papa Giovanni Paolo II. Giovedì scorso, ho partecipato anch’io alla giornata e alla visione del film scelto per quest’anno e che sono stato invitato a presentare: “Le cronache di Narnia” tratto dall’omonima saga fantasy dello scrittore inglese C. S. Lewis. Mi sembra una scelta significativa, per questo ne scrivo. L’invito era giustificato da un recente saggio sullo scrittore e il suo bestseller, da me realizzato insieme a Paolo Gulisano, per le edizioni SanPaolo. Il pubblico era numeroso e ricco di cardinali (ne ho contati almeno quattro: Lopez Rodriguez, Vlk, Agrè e Backis) vescovi e prelati. Il Papa non c’era, ma non aveva certo bisogno di vedere questo film per conoscere e apprezzare Lewis e mi sono sorpreso io stesso del fatto di essermi trovato quasi costretto, nelle poche parole introduttive, a citare per due volte l’enciclica “Deus Caritas est”. Quando il Papa afferma che quello di cui l’uomo ha bisogno è “un cuore che vede” (n. 31) coglie una delle profonde “morali” della favola raccontata da Lewis. Nel romanzo e nel film noi vediamo una bambina, Lucy (cioè “luce”) che, attraverso un armadio, entra in un mondo apparentemente diverso ma che poi si scopre essere semplicemente il nostro ma a un grado superiore di intensità e profondità. Lucy lascia l’Inghilterra dilaniata dalla Seconda guerra mondiale per entrare in Narnia, che è anch’essa un mondo in guerra e il passaggio attraverso l’armadio sta a significare che è nella quotidianità più comune (un armadio chi lo nota?) che si cela la meraviglia e il mistero, dell’esistente. Non serve cercalo, basta vederlo, saperlo vedere. Basta avere un cuore che vede, un cuore semplice come quello di un bambino. I bambini sono naturalmente fantasiosi e aperti allo stupore, capaci cioè di vedere il mondo ogni volta come se fosse la prima volta; in questo senso la fantasia, parola che deriva dal greco “fos”, luce, non è quindi un’evasione alienante ma una visione più profonda e intensa della realtà. La seconda citazione dall’enciclica che mi è venuta spontanea nel presentare questo film è la frase di Sant’Agostino a sua volta ripresa da Benedetto XVI: “Si comprehendis, non est Deus”, “se lo comprendi non è Dio”. E’ l’idea che soggiace all’invenzione del personaggio del leone Aslan, protagonista assoluto dell’intera saga di Lewis. Aslan, in turco “leone”, è figura Christi (muore e risorge per la redenzione di Narnia e il perdono di Edmund) ma è anche una formidabile immagine di Dio. Il leone è l’animale per eccellenza non addomesticabile; Aslan non è mai “a disposizione”, non è mai sotto il controllo di qualcuno; è lui che sceglie di darsi se e quando vuole. Simbolo della grazia che si può solo ricevere, non acquisire, Aslan sceglierà di donarsi e di morire (in una scena ritagliata su quella della passione di Cristo) in riscatto per il bambino “peccatore” Edmund. Dio, proprio come un leone, non lo puoi “comprendere”, non lo puoi bloccare, ingabbiare in un’idea, come Aslan egli irrompe nella vita degli uomini (come racconta Lewis nei suoi testi autobiografici) e appare e sta dove meno te lo aspetti; non è mai fisso in un posto. Cristo, proprio come Aslan, sceglie la strada paradossale della morte e del sacrificio rivelando così il volto più autentico di Dio, quello dell’amore. Solo allora Dio lo puoi trovare, fisso, in un luogo e quel luogo è la croce, lì Dio è croci-fisso. E mentre dicevo queste parole il mio pensiero andava all’ultimo film che prima di questo era stato visto, alla presenza di Giovanni Paolo II: “The Passion” di Gibson. L’ultimo film di Wojtyla e il primo di Ratzinger sono film “vicini” (entrambi hanno al centro il mistero pasquale) ma diversi per l’approccio: più scolpito nella roccia e fisico il primo e più raffinato, “intellettuale” il secondo, una diversità che sembra rispecchiare quella dei due Papi. Continuità e discontinuità. Il Papa polacco, nel pieno dell’autunno del suo pontificato, un autunno di sofferenza e dolore, quasi si specchiava nello “spettacolo” dell’Uomo dei dolori in tutta la sua crudezza. Oggi, sotto il Papa tedesco, un film che racconta la rinascita di un mondo ferito, che riemerge, grazie al sacrificio di Dio, da un inverno rigido come la morte, che sembrava senza fine e “senza Natale” come dice il fauno Tumnus alla bambina Lucy, “figlia di Eva”. Sarà la fede di Lucy, insieme all’agape di Aslan a trionfare sulla magia della Strega Bianca perché esiste “una magia più grande” e questa magia “caritas est”.