Ho terminato di leggere C’è posto per tutti, il bel saggio di don Giovanni Cesare Pagazzi, pubblicato qualche anno fa dalla Vita&Pensiero, dedicato al tema della fraternità nella Bibbia e mi è venuto in mente questa tremenda riflessione del poeta Umberto Saba, tratto dal volume Scorciatoie e raccontini (e ringrazio Valerio Magrelli per avermela fatta conoscere):
Vi siete mai chiesti perché l’Italia non ha avuto, in tutta la sua storia – da Roma ad oggi – una sola vera rivoluzione? La risposta – chiave che apre molte porte – è forse la storia d’Italia in poche righe. Gli italiani non sono parricidi; sono fratricidi. Romolo e Remo, Ferruccio e Maramaldo, Mussolini e i socialisti, Badoglio e Graziani… “Combatteremo – fece stampare quest’ultimo in un suo manifesto – fratelli contro fratelli”. (Favorito, non determinato, dalle circostanze, fu un grido del cuore, il grido di uno che – diventato chiaro a se stesso – finalmente si sfoghi). Gli italiani sono l’unico popolo (credo) che abbiano, alla base della loro storia (o della loro leggenda), un fratricidio. Ed è solo col parricidio (uccisione del vecchio) che si inizia una rivoluzione. Gli italiani vogliono darsi al padre, ed avere da lui, in cambio, il permesso di uccidere gli altri fratelli.
Ho pensato subito che forse la vera risposta al perchè in Italia non ci sono state rivoluzioni è racchiusa nella battuta di Flaiano: “In Italia le rivoluzioni sono impossibili: ci conosciamo tutti”.
Poi mi sono detto che solo un ebreo poteva fare una riflessione come questa di Saba, così ricca anche di echi bibliche, e qui si ritorna al saggio di Pagazzi e alle varie figure di fratelli, da Caino e Abele a Giacobbe ed Esaù fino a Giuseppe tradito e venduto dai fratelli e, soprattutto fino a Gesù, “nostro primogenito”. La lettura di questo breve quanto ricco saggio mi ha molto colpito, in particolare ho riflettuto sul fatto che essere figli forse è più semplice che essere fratelli. Il complesso di Edipo è meno complicato di quello di Caino. E i figli più giovani non stanno meglio dei primogeniti, visto il comportamento del famoso figlio più giovane della parabola tradizionalmente denominata del “figliol prodigo”: lui fuggi di casa, ma ce l’ha col padre o con il fratello maggiore? I due non sono bravi figli ma perchè innanzitutto non sono bravi fratelli tra di loro. I fratelli hanno paura di non trovare posto, di essere “s-postati” dal cuore del padre a causa della concorrenza degli altri. Si dubita della bontà dell’origine e dell’estensione di questa bontà: ci sarà posto per tutti?
E quindi mi è venuto in mente la seconda parte della preghiera del Padre Nostro, quella che dice: “Dacci oggi il nostro pane quotidiano, rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori e non indurci in tentazione ma liberaci dal male”. Rispetto alla prima parte, più “verticale”, questa mi sembra dedicata alla dimensione orizzontale della fraternità. La prima parte inizia in cielo e finisce con la parola “terra”, questa seconda inizia con il pane, “frutto della terra” e parla di condivisione e di perdono, di orizzontalità, e finisce sotto terra, con la tentazione che viene dal Maligno per distruggerci e proprio di questa eventualità abbiamo paura (paura, da pavere, pavimento, essere atterriti) e chiediamo di essere salvati.
Ho ripensato agli attuali due sommi pontefici della chiesa cattolica, Benedetto e Francesco.
Il primo, come il suo predecessore, mi sembra un Papa più tendente verso la prima parte del Padre Nostro, quella verticale del rapporto Padre-figlio, un Papa che annuncia il regno dei cieli che discende e chiede agli uomini di prepararsi, spalancando le porte del mondo al Dio che viene in Cristo. Il secondo, Papa Francesco, mi appare invece un Papa con una propensione maggiore per la seconda parte del Padre Nostro, quella della fraternità orizzontale, fatta di condivisione e di misericordia, con un occhio teso e acuto verso le inesauribili tentazioni del Maligno. In realtà la misericordia, proprio come il pane, discendono tutti dall’alto, per cui come nei due bracci che compongono la croce, la dimensione verticale e quella orizzontale sono indissolubilmente intrecciate e una alimenta e verifica l’altra. Il pane è un dono, e il per-dono è un dono moltiplicato: noi rimettiamo i debiti ai fratelli perchè il padre ha rimesso i nostri, altrimenti non avremo la forza per farlo.
Per questo l’ultima parola di Cristo sulla croce è una parola di perdono, rivolta al Padre, nei confronti dei suoi fratelli più piccoli, che “non sanno quello che fanno”: la resurrezione del Figlio obbediente è la risposta di un Padre anche lui, obbediente, che ha ascoltato la preghiera del primogenito per i suoi fratelli e questa risposta di misericordia è discesa dal cielo fino a sopra e sotto la terra (discese agli Inferi), dappertutto, perchè c’è posto davvero per tutti.
A proposito dei due papi. Ricordo che dopo l’elezione di Benedetto XVI uno dei tanti commentatori televisivi disse che Giovanni Paolo II aveva fatto uscire i giovani (ma potremmo estenderlo anche ad altre fasce d’età) dal guscio e che Benedetto li avrebbe portati in chiesa. Credo che, su questa scia, Francesco porterà le persone ad annunciare Cristo verso l’esterno delle chiese.