Si è già detto molto dell’ultimo film di Christopher Nolan Dunkirk (perchè non Dunkerque non si sa). Aggiungerò la mia impressione (dovrò rivederlo per passare da impressione a opinione) e vorrei concentrarmi sul contenuto della storia, del resto la forma mi sembra ineccepibile, l’ennesima conferma del virtuosismo del regista inglese.
Vedendo come si sviluppava la storia raccontata da Nolan, che poi è la storia dei fatti accaduti sulla spiaggia di Dunkerque nel 1940, ho pensato a due cose: alla nostra situazione di oggi, nostra di noi europei, e al capolavoro di Tolkien Il signore degli anelli.
Anche altri osservatori hanno commentato che la storia di ieri, dell’eroico salvataggio dei soldati condannati alla morte da parte dei civili inglesi, suona come un grido, un’esortazione rivolta a noi (inglesi ed europei) di oggi. La logica della sopravvivenza deve lasciare il passo alla logica della solidarietà, così come accadde nel 1940, dove alcuni persone “normali” (la banalità del bene si potrebbe sottotitolare il film) sono andati oltre l’umano per salvare l’umano. Quell’umano messo a repentaglio dalla contigenza tragica del conflitto armato. Lo ha detto molto bene WuMing4: si deve passare dal livello della legalità a quello della giustizia. E’ quello che fanno i personaggi del film: mossi da un sentimento di giustizia mettono a rischio la propria vita, oltre la stretta misura della legge (e anche della realpolitik) per fare la cosa giusta, salvare l’umano anzi, salvare gli esseri umani (l’umano in rrealtà non esiste), tutti, non solo gli inglesi ma tutti come esemplificato dalla battura finale del capitano (l’attore Kenenth Branagh) che dice “rimango qui per salvare i francesi”. E’ unf ilm che spinge all’azione, sottolinea giustamente WuMing4, da questo punto di vista il film mi ha fatto pensare alla predicazione incessante di Papa Francesco: la stessa tenacia, la stessa urgenza.
Oggi l’Europa è posta di fronte allo stesso dilemma dei soldati e dei civili inglesi (che poi è quello di Antigone): trincerarsi nell’angusta protezione della legge, che si può anche restringere, magari democraticamente, a piacimento o dare spazio e respiro alla legge del cuore che sposta sempre più in là l’orizzonte dell’umano. Per essere e rimanere umani occorre superare l’umano, è come tirare alla luna per colpire l’albero.
E’ quello che fanno i protagonisti de Il Signore degli anelli di Tolkien, un uomo che nel 1940 aveva due figli in guerra, proprio contro quel “Nemico” che nel film è solo citato, evocato (con questo nome che è lo stesso presente nel grande romanzo della Terra di Mezzo) ma mai visto direttamente. Alla fine del film si intravedono dei soldati tedeschi, mentre arrestano il pilota superstite, “l’eroe” dell’aria (ma il vero eroe è il ragazzo che è morto senza nemmeno arrivare sulla spiaggia di Dunkerque), ma sono sfocati, impalpabili, disincarnati. Proprio come Sauron, l’Oscuro Signore di Mordor, che manda i suoi temibili emissari, che però sono solo Spettri, fantasmi. Il nemico non “esiste”, perchè il nemico da sconfiggere è quello interiore. Nel film di Nolan come nel romanzo di Tolkien lo sguardo è tutto fissato dalla parte dei “buoni”, per verificare se poi buoni lo sono davvero. Il nemico è visto come una minaccia che sta lì, fuori, e attira mortalmente verso di sè e il cuore della storia è vedere chi riuscirà a superare la prova. E come nel film, così anche nel romanzo, a riuscire saranno i personaggi più impesabili e nel modo più paradossale: i civili salveranno i soldati così come gli Hobbit (eroi banalissimi) salveranno la Terra di Mezzo. I grandi cadono, forse perchè pensano troppo, gli Hobbit (e i civili inglesi) prendono a partono e, confusamente, quasi incoscientemente, fanno saltare il tavolo delle strategie, della politica intesa come mero esercizio del potere. Fede, speranza, immaginazione e umiltà prendono il posto della convenienza e del gretto realismo e riscattano una situazione altrimenti chiusa in quel tragico collo di bottiglia in cui spesso la storia “solamente umana” conduce.
Ogni uomo vive la sua esistenza in una “terra di mezzo”, nell’ambiguità di una scelta possibile quanto doverosa verso la pienezza dell’umano da una parte o il degrado verso la bestialità (fatti non foste per viver come bruti).
Grande riflessione sul tema dell’eroe e sulle sfide della convivenza umana, il film di Nolan (come il romanzo di Tolkien), è un grido di allarme e di incoraggiamento per ogni uomo a riscoprire dentro la propria anima quello spirito più che umano che permette la salvezza dell’umano, uno spirito reale, concreto, possibile, come dimostrano pagine come quelle di Dunkeque che noi, figli liberi di quella storia, siamo chiamati a ripetere.