E’ un po’ di tempo che ci penso. Ma che vuol dire “fuggire la noia”? La noia, in effetti, noi uomini tendiamo a fuggirla. Ma siamo sicuri che è la cosa migliore da fare? Ho sempre di più la sensazione che la noia sia come un cane ringhioso, se lo fuggi t’insegue. Insomma, sto cercando di mettere a fuoco il fatto che la noia non è monolitica nella sua negatività, ma ha una serie di sfumature imprevedibili e di ambiguità ricche di speranza. Del resto Leopardi nel suo Canto notturno del pastore errante dell’Asia insiste sul fatto che il tedio è proprio ciò che differenzia ogni uomo dagli animali, dalla capra, essere più sfortunato dell’uomo proprio perché non conosce il mortale (e quindi vitale) abisso della noia.
Non so come e perché ma tempo fa, in classe, dissi all’improvviso ai miei studenti: “vi auguro lunghi pomeriggi di noia!”. Non so come mi venne in bocca quell’augurio, ma lo rivolsi ai ragazzi, adolescenti, già “programmati” per annoiarsi in classe e poi di fronte ai compiti da fare a casa. Non so se apprezzarono molto il mio augurio, rimasero un po’ in silenzio, sperando che prima o poi avrei detto qualcosa, cercando di spiegare lo strano augurio appena pronunciato. Non dissi molto. Parlai di provare ad “attraversare” la noia, di cercare di “assaporarla”… strano vero? La noia è proprio (o scaturisce da) quella mancanza di sapore, di gusto che una volta si chiamava “accidia”. Però forse è proprio qui il punto: se hai un momento di accidia, di aridità, di “insipideria”, forse è il caso che ti concentri su di esso invece di distrarti sperando che “facendo” qualcos’altro sparisca.
Mi viene in soccorso un brano di Chesterton tratto dal saggio Eretici: “Non esiste, sulla terra, qualcosa che costituisca un argomento poco interessante; l’unica cosa che può esistere è una persona poco interessata […] Senza dubbio, noi potremmo trovare una seccatura contare tutti i fili d’erba o tutte le foglie degli alberi; ma la circostanza dipenderebbe, non dalla nostra baldanza o gaiezza, ma dalla nostra scarsa baldanza e gaiezza. Il noioso procederebbe, baldanzoso e gaio, e troverebbe i fili d’erba splendidi come le spade di un esercito. Il noioso è più forte, è più gioioso di noi; egli è un semidio, anzi è un dio. Perché sono gli dei che non si stancano dell’iterazione delle cose; per loro, il calar del sole è sempre nuovo, e l’ultima rosa è rossa come la prima”.
Questo brano mi fa venire in mente un film straordinario, un “monumento” sul tema dell’ambiguità della noia: Ricomincio da capo di Harold Ramis con Bill Murray in cui il protagonista si trova costretto (dal destino? da Dio?) a rivivere ogni giorno la stessa giornata che, tra l’altro, la prima volta che l’aveva vissuta, era stata una giornata noiosissima. Eppure, rivivendola con quella “divina iterazione” di cui parla Chesterton, alla fine il protagonista la vivrà pienamente, gioiosamente, ricevendo e dando la gioia e l’amore a sé e a tutti quelli che ha intorno. In fondo anche nelle nostre vite le giornate si assomigliano e si ripetono continuamente. Questo divertente e profondissimo film ci dice una cosa, che la vita è un enigma, cioè il luogo dell’ambiguità, della libertà. L’enigma, con la sua presenza di ombra (male, smacco, noia…) all’inizio può lasciarci sgomenti e spaventati (da qui la tentazione di fuggire), però non vuole fughe, e nemmeno soluzioni (che sarebbero un’altra forma di fuga), ma solo di essere attraversato. [E qui si aprirebbe una discussione gigantesca, basti pensare alla differenza tra la figura di Edipo, che prova a cercare la soluzione dell’enigma, e quella di Cristo che prega per la sua vita il giovedì sera e il giorno dopo attraversa fino in fondo la sua Via Crucis, ma su questo e altro mi permetto di rinviare ad un libretto che uscirà in autunno, scritto a quattro mani dal sottoscritto e da padre Giovanni Cucci.]
Infine: ho parlato della noia come di un “cane ringhioso” e questo mi ha fatto venire in mente il brano della Genesi, quando Dio coglie l’ombra nel volto di Caino, geloso contro Abele, e gli chiede: “Perché sei irritato e perché è abbattuto il tuo volto? Se agisci bene, non dovrai forse tenerlo alto? Ma se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto, ma tu dominalo”. Questo essere “accovacciato alla porta” dell’istinto malvagio che nasce dall’irritazione e dalla tristezza non può non far pensare ad un cane ringhioso; anche qui, non ci viene chiesto di fuggirlo o di spiegarcelo ma di affrontarlo e dominarlo. Quando studiai un po’ di esegesi all’Università Gregoriana mi fu spiegato che in quel termine, dominare, era racchiusa anche una radice che aveva come significato quello di “raccontare, parlare”, come una sorta di “logo-terapia” consigliata a Caino per “rielaborare” l’istinto violento. Ancora una volta quindi, sembra che non sia consigliabile fuggire seguendo l’istinto della paura, né razionalizzare con astratte soluzioni, ma attraversare fino in fondo il male che ci si è presentato di fronte. Parlare, raccontare, in questo camminare attraverso, “nel mezzo”, può essere di grande aiuto. Cristo, il Logos che è venuto “in mezzo” a noi, è il nostro logo-terapeuta, non a caso il Vangelo non è un libro che ci spiega tante cose ma che ci dona tanti racconti; non a caso Gesù non è fuggito di fronte al male (pur avendo l’istinto di farlo), ma ha bevuto il calice fino alla feccia.
(questo articolo è apparso il 17 agosto 2010 sul blog www.bombacarta.com)