Continuo a ripensarci, ma questo momento storico della storia della Chiesa cattolica mi sembra particolarmente “epico”. Mi riferisco a questi due mesi di febbraio e marzo 2013 che hanno segnato e segneranno per secoli l’avventura umana del popolo dei cristiani.
L’11 febbraio Benedetto XVI dà l’annuncio di ritirarsi in preghiera, in clausura, per lasciare lo spazio ad un Papa più “vigoroso”, capace quindi di affrontare le sfide che provengono da un modo sempre più “soggetto a rapidi mutamenti”. Tre giorni dopo, parlando ai parroci di Roma, precisa che “Anche se mi ritiro adesso in preghiera, sono sempre vicino a tutti voi e sono sicuro che voi lo sarete, anche se per il mondo rimango nascosto». Il suo è quindi un nascondersi ma non un abbandonare il campo di battaglia, come spiega ulteriormente all’ultima delle sue udienze, il 27 febbraio:
“In questi ultimi mesi, ho sentito che le mie forze erano diminuite, e ho chiesto a Dio con insistenza, nella preghiera, di illuminarmi con la sua luce per farmi prendere la decisione più giusta non per il mio bene, ma per il bene della Chiesa. Ho fatto questo passo nella piena consapevolezza della sua gravità e anche novità, ma con una profonda serenità d’animo. Amare la Chiesa significa anche avere il coraggio di fare scelte difficili, sofferte, avendo sempre davanti il bene della Chiesa e non se stessi. [..] Il “sempre” è anche un “per sempre” – non c’è più un ritornare nel privato. La mia decisione di rinunciare all’esercizio attivo del ministero, non revoca questo. Non ritorno alla vita privata, a una vita di viaggi, incontri, ricevimenti, conferenze eccetera. Non abbandono la croce, ma resto in modo nuovo presso il Signore Crocifisso. Non porto più la potestà dell’officio per il governo della Chiesa, ma nel servizio della preghiera resto, per così dire, nel recinto di san Pietro.”
Il giorno dopo, affacciandosi dal balcone del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo, Benedetto XVI ha salutato il mondo, pronto a fare l’ultimo tratto della strada che gli rimane da fare, come “un semplice pellegrino”. E, anche se erano da poco passate le sei del pomeriggio, si è congedato dicendo “Buonanotte”. Un riposo meritato, dopo quasi otto anni di dura lotta per questo dolce, mite, piccolo gigante.
Pochi giorni dopo, il 13 marzo, da un altro saluto: “Fratelli e sorelle, buonasera!”. E’ il nuovo Papa, anzi vescovo di Roma, un gesuita argentino che sceglie di chiamarsi Francesco che la prima cosa che fa è pregare insieme al suo popolo, per il vescovo emerito, Benedetto: un Pater, Ave e Gloria, come si faceva una volta. E poi, l’alto e corpulento Pontefice sudamericano, si inchina, attendendo la benedizione che sempre il suo popolo deve, silenziosamente, chiedere al Signore. La sera stessa telefona a Benedetto, poi gli fa gli auguri il 19 marzo, per la festa di san Giuseppe, e poi il 23 lo va a trovare, in elicottero, a Castel Gandolfo. Gli regala un’immagine di Maria, dicendo: “Questa immagine si chiama Madonna dell’Umiltà, ed io ho pensato a Lei“. In effetti è l’umiltà il “testimone” che i due atleti si sono passati in questa vorticosa staffetta che ha disorientato e fatto impazzire i mass-media e disorientato e fatto innamorare il miliardo e più di cattolici (e non solo) di tutto il mondo.
Già le parole dei due Papi che ho qui brevemente citato mi avevano suggerito qualcosa, poi le scarne immagini che sono state pubblicate di questo storico incontro dei due Papi mi hanno fatto pensare ad uno dei miei film preferiti, la saga di Guerre Stellari. Il “rimanere nascosto al mondo” di Ratzinger mi ha subito rammentato il personaggio di Yoda, auto-esiliato nel lontano pianeta Degobar e devo dire che anche fisicamente Benedetto XVI ricorda un po’ il vecchio ometto maestro dei cavalieri Jedi. E se guardiamo bene il volto pacifico e intelligente di Papa Francesco, non assomiglia forse a quello di Alec Guinness, immortale Obi-Wan-Kenobi?
Proprio come un più giovane cavaliere Jedi, come Luke Skywalker, Francesco ha sentito il bisogno di raggiungere il vecchio maestro, fonte di forza e saggezza. E chissà se ancora questo non dovrà capitare di nuovo (e speriamo di no, sarebbe un brutto segnale, di grande crisi.. ma la storia della Chiesa è – deve essere – sempre in crisi, giusto?)… così si può immaginare, in una prospettiva più tranquilla, un altro invito-incontro di Papa Francesco a Papa Benedetto magari per le meditazioni per la Via Crucis, o per gli esercizi spirituali della Curia per la Quaresima… ma forse è già facile prevedere che una volta entrato nell’ombra del convento di clausura sul colle dei giardini vaticani (il suo pianeta Degobar), Benedetto non ne uscirà più e, forse, quelle brevi immagini di sabato 23 da Castel Gandolfo sono le ultime che il mondo verrà. Lo stile rigoroso e la serietà di Joseph Ratzinger, così poco “mondano”, sono altre due lezioni che scaturiscono dal suo ultimo, fecondissimo, periodo di pontificato.
E’ il fascino della Chiesa cattolica, che vive nel mondo ma non è del mondo, che vive in un altro orizzonte, simile a quello del pianeta Tattoine dove vive il protagonista della saga (cioè ogni uomo, una creatura chiamata a “solcare i cieli”) e ci sono due soli e non uno solo. “Chi crede non è mai solo”, come amava ricordare lo schivo vescovo emerito di Roma, il Papa umile, Joseph-Benedetto.