Cattolici, ok. Adulti?

giorgio-napolitano-azzurri-olimpiadi-2012_650x447Il 22 aprile Giorgio Napolitano diventa il primo presidente della Repubblica ri-eletto al Quirinale e, insediandosi, fa un discorso, già definito “storico”, che sembra essere una rivendicazione della bellezza e della necessità della politica, contro i venti dell’anti-politica che soffiano ormai non solo fuori ma anche dentro il Palazzo. Ecco il passaggio più significato di quel discorso:

Il fatto che in Italia si sia diffusa una sorta di orrore per ogni ipotesi di intese, alleanze, mediazioni, convergenze tra forze politiche diverse, è segno di una regressione, di un diffondersi dell’idea che si possa fare politica senza conoscere o riconoscere le complesse problematiche del governare la cosa pubblica e le implicazioni che ne discendono in termini, appunto, di mediazioni, intese, alleanze politiche. O forse tutto questo è più concretamente il riflesso di un paio di decenni di contrapposizione – fino allo smarrimento dell’idea stessa di convivenza civile – come non mai faziosa e aggressiva, di totale incomunicabilità tra schieramenti politici concorrenti. Lo dicevo già sette anni fa in quest’aula, nella medesima occasione di oggi, auspicando che fosse finalmente vicino “il tempo della maturità per la democrazia dell’alternanza” : che significa anche il tempo della maturità per la ricerca di soluzioni di governo condivise quando se ne imponga la necessità. Altrimenti, si dovrebbe prendere atto dell’ingovernabilità, almeno nella legislatura appena iniziata“.

Un grido accorato contro l’immaturità dell’attuale classe politica. Viene in mente la famosa definizione di uno dei protagonisti della scena politica di questi 20 anni, Romano Prodi che, come è noto, si dichiarò “cattolico adulto” per rispondere piccato all’invito del card.Ruini alle soglie del referendum sulla fecondazione assistita. Ecco, viene in mente quella frase e un pensiero: forse Prodi e tanti altri personaggi della scena politica italiana contemporanea possono dirsi cattolici, ma non possono dirsi adulti. Dov’è infatti quella maturità invocata da Napolitano? Il percorso, a tratti ridicolo se non grottesco, degli ultimi mesi in cui da un governo Napolitano-Monti siamo passati ad un governo Napolitano-Letta senza alcuna soluzione di continuità (nonostante un’elezione politica e l’elezione del presidente della Repubblica), ha denotato per l’ennesima volta l’immaturità della classe politica emersa nella cosiddetta Seconda Repubblica, e le nuove leve che stanno emergendo, Movimento 5 Stelle in primis, sembrano fare dell’immaturità una bandiera, secondo la logica della “fantasia al potere”, evidenziando come siamo ancora in pieno clima sessantottino, forse l’unico paese dove il ’68 non è stato superato, non si è concluso ma dura da oltre 40 anni. Non è un caso che il vero leader vincitore di tutti questi anni sia Berlusconi, il più “sessantottino” di tutti (e rinvio al breve saggio di Mario Perniola: “Berlusconi, ovvero il ’68 realizzato”), che fuoriesce dalla stagione passata sotto il nome di “Mani pulite”.

mani_puliteIl ’68 e gli strascichi che ancora oggi fanno danni, sono da questo punto di vista, un’altra versione dell’eresia catara, dell’angelismo, l’eresia della purezza e, alla fine, del manicheismo moralistico che ancora è diffuso nella politica e nella società italiana.

Diventare adulti, maturi, in una parola, “concreti”, perchè è sempre l’astrazione il vero nemico, anche per i cattolici che da sempre sanno che la vera lotta è quella tra la fede e l’ideologia (che è sempre astrazione). Lo aveva ben presente il cardinale Joseph Ratzinger che si rivolgeva così ai politici tedeschi nel lontano 1981:

 

«Essere sobri e attuare ciò che è possibile, e non reclamare con il cuore in fiamme l’impossibile, è sempre stato difficile; la voce della ragione non è mai così forte come il grido irrazionale. Il grido che reclama le grandi cose ha la vibrazione del moralismo: limitarsi al possibile sembra invece una rinuncia alla passione morale, sembra pragmatismo da meschini. Ma la verità è che la morale politica consiste precisamente nella resistenza alla seduzione delle grandi parole con cui ci si fa gioco dell’umanità dell’uomo e delle sue possibilità. Non è morale il moralismo dell’avventura, che tende a realizzare da sé le cose di Dio. Lo è invece la lealtà che accetta le misure dell’uomo e compie, entro queste misure, l’opera dell’uomo. Non l’assenza di compromesso, ma il compromesso stesso è la vera morale dell’attività politica

Un testo che bisognerebbe ricordare a memoria, da cui ripartire per ridare una speranza a questo nostro paese di bambini, cattolici e non, comunque non ancora cresciuti.

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