Sullo spirito del tempo

napoleoneBenedetto XVI, Pio XII e lo spirito del tempo

Quando Pio XII si rese conto che denunciare pubblicamente la persecuzioni razziali dei nazisti sarebbe stato un gesto che avrebbe aggravato le condizioni dei perseguitati, scelse di operare silenziosamente, di condannare tali persecuzioni anche in discorsi e messaggi ma sempre in modo implicito e, soprattutto, di salvare più vite possibili dalla furia sterminatrice che soffiava negli anni ’40 in Europa. Si rese conto di qual era il rischio che correva (“verrò criticato per questo mio comportamento”), ma lo affrontò coraggiosamente. Aveva visto lungo, nel senso che ancora oggi sulla sua figura pende un’ombra per cui quel coraggio di andare contro la propria reputazione non viene avvertito e al suo posto è invece percepito con acuta sensibilità l’onta della viltà dei suoi “silenzi”, che per alcuni addirittura sarebbero prova di una complicità con il regime nazista.

Mi è venuto in mente Pio XII pensando al gesto dell’11 febbraio 2013 compiuto da un Papa quanto mai distante da Pacelli, Benedetto XVI. Anche qui: coraggio o viltà? Joseph Ratzinger, innovando contro una tradizione di venti secoli, ha rinunciato al ministero petrino, al governo attivo della Chiesa, passando il testimone al suo successore che si trova ora “in con-dominio” con lui, due Papi, che vivono a pochi metri uno dall’altro, di cui uno recluso in preghiera e l’altro impegnato a governare. Un gesto rivoluzionario e scandaloso che ha messo in crisi proprio il popolo dei cristiani, quel gregge affidato alla cura e alla guida del Pastore della Chiesa Universale.

E’ il suo gesto segno di coraggio, di libertà interiore, di somma umiltà, di adesione alla missione della Chiesa al punto di schiacciare il proprio ego (e la propria reputazione) oppure è il gesto di un uomo che si è solo stancato e non ha avuto più la forza di credere in Dio che lo aveva scelto come vicario di Cristo? E’ un atto di grande fede oppure di uno che ha cominciato a vivere etsi Deus non daretur? Il Papa da tutti visto come l’arcigno nemico del relativismo e del nichilismo contemporaneo, non ha forse così relativizzato e annientato la figura del Papa e minato alle radici la fede stessa nell’opera di Dio sulla e attraverso la Chiesa? Ai posteri, diceva Manzoni, l’ardua sentenza; di certo Ratzinger si è trovato come Pacelli a dover operare una scelta “grave” ed entrambi hanno deciso di anteporre ciò che ritenevano giusto al proprio egoistico “utile”. Anche su Ratzinger già pesa una macchia per cui quel coraggio di andare contro la propria reputazione e venti secoli di tradizione non viene avvertito come tale e al suo posto è invece percepito con acuta sensibilità da alcuni, soprattutto in seno al cattolicesimo, l’onta della viltà per la sua fuga dalla responsabilità, l’essere anzitempo “sceso dalla croce”. La sua memoria probabilmente rimarrà schiacciata tra quella del predecessore e quella del successore, che, paradossalmente, sono entrambi figure che senza quella di Joseph Ratzinger non avrebbero potuto esprimersi e forse nemmeno sussistere, ma, si sa, a volte il destino è proprio “cinico e baro” e alcune persone si trovano veramente a vivere, come direbbe Tolkien, “situazioni sacrificali”.

E_in_mezzo_a_San_Lorenzo_spalancò_le_aliMa torniamo a Pio XII e alla sua scelta di silente operosità. Una scelta che mi ha fatto venire in mente l’affermazione di Aldo Moro per cui “in politica i problemi non si denunciano, ma si affrontano, cercando di risolverli”. E’ una frase che è tanto politica da risultare oggi antipolitica, cioè coglie un’aspetto essenziale dell’agire politico, talmente essenziale che in questi tempi in cui la politica è praticamente assente e bandita, risulta essere scandalosa, inaccettabile. Ai nostri giorni infatti tutto è denuncia, mentre i problemi restano lì, irrisolti e inevitabilmente ingranditi, anzi ingigantiti. Oggi ci si ferma alla denuncia, un atto che è diventato quasi compulsivo, frutto di una coazione a ripetere, per cui tutto viene denunciato, pubblicato, gridato perchè l’indignazione e la rabbia sono i sentimenti dominanti del nostro tempo, che devono trovare sfogo e soddisfazione.

Il punto, come ha colto con solita vis umoristica il cardinale Biffi, è che non è vero che si è perso il senso del peccato, come tanti bravi cristiani lamentano, ma si è perso il senso del peccato proprio, perchè invece è quanto mai vivo il senso del peccato altrui, come dimostra proprio questa “cultura” della denuncia e dell’indignazione. E accanto a Biffi ci metterei un altro italiano verace (quando italiano era sinonimo di simpatico), Vittorio De Sica, che saggiamente osservava come: “L’indignazione morale è in molti casi al 2 per cento morale, al 48 per cento indignazione, e al 50 per cento invidia”.

Vittorio-DeSica_672-458_resizeOggi si è perso molto in termini di “simpatia”. E quindi di buon umore e anche di umorismo. I comici non fanno più ridere ma si impancano a moralizzatori, seminando astio se non odio sociale. Mi ha colpito pochi giorni fa un amico, che stimo come persona di notevole cultura e anche sensibilità artistica, che mi raccontava che la sera lui si vede con i suoi figli programmi come Striscia la notizia e Le jene (e, aggiungo io, anche quelli sulla Rai di Santoro e Travaglio, sbiaditi cloni dei suddetti programmi di Mediaset) in modo da poter comprendere lo spirito del tempo che stiamo vivendo e potersi muovere nel mondo. Lo spirito del tempo. Il 14 ottobre 1806 Hegel esclama: “Oggi ho visto lo spirito del mondo entrare a cavallo a Jena”; si riferiva a Napoleone che quel giorno entrava nella città tedesca dopo la grande vittoria militare. Da Napoleone a Ezio Greggio; qualcosa è cambiato.

Però forse è proprio questo lo spirito del tempo che soffia oggi e pochi si muovono contro questa corrente impetuosa, a parte qualche vescovo di Roma, come Pio XII e Benedetto XVI, due Papi oggi non molto “simpatici”, ma entrambi “vivi” secondo la definizione di Chesterton, fine umorista e apologeta del cattolicesimo: “Una cosa morta può andare con la corrente, ma solo una cosa viva può andarvi contro”.

(il presente articolo, qui nella sua forma integrale, è apparso il 27 aprile 2013 su Il Foglio).

 

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