Ancora sul tema, immenso, della grazia. Continuo quindi a chiedere ragione di queste parole scritte sulla lavagna (le abbiamo dovuto riscrivere, dopo una settimana la lavagna viene “resettata” mille volte): grazia, grazie, gratis, gratuito, gratuità, grato, gratitudine.. Arianna alza la ragazza, è una fan di Jovanotti, ce n’è una in ogni classe, e ricorda il titolo del libro autobiografico di Lorenzo Cherubini: “Gratitude, è in inglese, penso voglia dire gratitudine”. “Ok, ma che significa?”. E qui Arianna si blocca. Lo sa ma non lo sa esprimere bene: “E’ quando uno ringrazia”. “E perchè ringrazia?”. “Non so, forse di qualcosa che ha ricevuto”. “Cioè di un dono?”. Forse ci siamo. Dono, ecco un’altra parola che spalanca un mondo sconfinato, meglio fermarsi sulla soglia. Rientriamo allora e cerchiamo di dare una prima approssimativa ricognizione di “grazia”, intesa come “dono”. Riparto dunque da “gratuità”, concetto ora più chiaro, spero. Ma dei concetti i ragazzi non sanno che farsene, e infatti ancora gli sfugge la definizione. Forse hanno ragione loro, le parole astratte sono frustranti, ipnotizzano come un caleidoscopio ma poi si sgretolano subito. Tutte quelle parole con quella “à” accentata nel finale… meglio diffidarne. E sì, perchè non fanno i conti con la realtà (ecco una parola accentata che però è l’eccezione che conferma la regola). E allora parto dalla realtà a me, a loro, più vicina: l’ora di religione; ecco un chiaro esempio di “gratuità”, gli dico. Non capiscono, bene, dico io, questo è il primo passo, l’ammissione della difficoltà, quindi procedo: “L’ora di religione, perchè la seguite? E’ l’unica facoltativa, potreste anche non farla. Sulle altre non c’è discussione, forse se matematica qui al classico fosse facoltativa non la farebbe nessuno”, risatine di conferma, “ma qui con me si può discutere e infatti discutiamo. Dunque perchè frequentate quest’ora, visto che tra l’altro non ha un grande “peso” a livello di media e di rendimento scolastico? Non c’è un motivo, un tornaconto, una utilità immediata, spicciola. Ecco, questo è un piccolo esempio di gratuità, il motivo non è fuori, non è un’idea astratta, ma sta nella vostra motivazione interiore, nella libertà di fare una cosa che non “serve”, non è “funzionale al sistema”. Non è un caso che non abbiamo nemmeno i voti, noi prof di religione, ma scriviamo quelle strane parole, i giudizi: distinto, discreto, buono, ottimo… a sottolineare la nostra specialità, che è tutta in quella libertà interiore che si può chiamare gratuità, quell’esperienza di “dono” che anche nella scuola italiana di oggi, ogni tanto, può essere vissuta”.
(il presente articolo è apparso il 15 gennaio 2014 su Avvenire)