Cronaca di un’occupazione annunciata

Oggi sono triste. Anche perchè, come ho scritto ieri nell’aforisma del giorno: la gioia è quando passi dal ripetere “io l’avevo detto” al riconoscere “questa non me l’aspettavo!” e quindi sono triste perchè questa occupazione io l’avevo esattamente prevista. E’ andata così: un paio di settimane fa mi reco al liceo Tasso in via Sicilia a Roma invitato dalla scuola per votare i rappresentanti dei genitori ma, prima dell’elezione mi trovo “costretto” a partecipare, in aula magna, ad un’assemblea organizzata dai professori con tutti i genitori lì pervenuti per votare, molti alunni e gran parte del corpo docente. Tema dell’assemblea: la lotta comune che le tre parti (prof, genitori, studenti) devono condurre contro il governo per questo che è l’attentato più grande e senza precedenti portato alla scuola pubblica. Il tono dei prof era solenne e coinvolgente: il valore (assoluto) della scuola pubblica ha ricevuto un vulnus (la legge Aprea, le 24 ore lavorative, le prove Invalsi…) al quale deve corrispondere una reazione forte, dura e compatta dei tre soggetti “feriti”. Mentre si susseguivano i diversi relatori e il clima dell’assemblea si surriscaldava (tra applausi crescenti e nessuna voce fuori dal coro) io andavo pensando: “qui ci scappa l’occupazione, sicuro”. Ad un certo punto prende la parola una signora, rappresentante dei genitori nel consiglio d’Istituto, se non ricordo male, ed inveisce con foga a sottolineare il suo impegno per la lotta comune. E precisa: “attenzione a non far degenerare questa giusta lotta in una inutile e grave occupazione”. “Sciagurata” penso tra me e me, “dopo che fomenti i giovani poi ti dichiari preoccupata degli eventuali effetti del tuo troppo fomentare, l’occupazione ormai è sicura”.

E così è andata. Il Tasso ha occupato, il Righi, le altre scuole, con l’inevitabile, penosa, gara a chi occupa per primo, e quindi dai e dai anche la mia scuola, il  liceo Pilo Albertelli di via Manin. Pare che oggi siano intervenuti i carabinieri per sgombrare l’edificio. Peccato, anche quest’anno, che sembrava andare liscio, c’è stato l’annuale rito dell’occupazione, siamo un paese conservatore e tradizionalista, non c’è niente da fare. Ha buon gioco Pigi Battista a twittare  sul fatto che da 44 anni in Italia si manifesta e si occupa contro la privatizzazione della scuola, privatizzazione che non c’è. In tutto questo anche gli inevitabili scontri tra manifestanti e poliziotti e lì, come dice Jean Renoir ne “Le regole del gioco”: “il guaio che a questo mondo tutti hanno le loro buone ragioni”. Anche se mi permetto di dire che mi viene da solidarizzare con i poliziotti, proprio come faceva 44 anni fa Pier Paolo Pasolini (vedi qui: http://www.sitocomunista.it/cultura/pasolini/viodiocari.htm ).

Il punto è, ne avevo scritto su questo blog qualche settimana fa, i ragazzi diventano quello che vedono e dal ’68 vedono solo questo, la conservazione del rito tradizionale del reato di massa dell’occupazione e quindi finiscono per ripeterlo. Per questo sono triste, perchè finisco per ripetere anch’io “l’avevo detto”, quando invece avrei voluto riconoscere: “questa non me l’aspettavo!”.

Diario di scuola/6

Ultime giornate di scuola positivamente condizionate dalla lettura di Sunset Limited di Cormac McCarthy. Da una battuta del personaggio del Nero è scaturita una riflessione sul tema “ma come sono visti i credenti da parte di chi non crede?”. Da qui la distinzione tra “credente” e “credente non praticante” (e la mia battuta: anche il diavolo è un credente non praticante). E quindi: i credenti praticanti (che sono, almeno in Italia, moolti di meno dei credenti semplicemente battezzati) come sono percepiti da chi non crede? Come dei matti un po’ fanatici? Degli scemi ancora in balia di antiche superstizioni con le loro processioni e il loro riti iniziatici e sciamanici? La discussione (per fortuna) non si è solo mantenuta sui massimi sistemi (fede e ragione) ma è scesa molto nel concreto della vita reale, quotidiana. Mi ha spinto a riflettere sulla mia vita di fede, il che non è poco per una “professione” (e infatti la fede si “professa”).

Sulla scuola e questo nuovo/vecchio autunno caldo

Cosa stiamo insegnando ai ragazzi? La questione delle 24 ore lavorative

 Sto pensando a questa vicenda delle 24 ore settimanali proposte/imposte dal Governo Monti ai professori della scuola italiana. E mi pongo questa domanda: come vedono questa vicenda i nostri studenti? La domanda sorge spontanea anche perchè all’agitazione dei prof ha fatto subito seguito quella degli studenti. L’autunno è sempre caldo nella scuola italiana. Cosa vedono dunque i ragazzi? E’ una domanda che mi pongo un po’ perché credo che sia il mio lavoro di prof che mi obbliga a pormela (non siamo soli nel nostro lavoro che è essenzialmente centrato sulla relazione docenti-studenti) e anche perché credo nella verità dell’osservazione di Flannery O’Connor: “noi uomini diventiamo quello che vediamo”.

 Cosa muove il mondo? 

Ho fatto allora la domanda ad alcuni studenti del IV ginnasio e uno di loro mi ha detto: “Prof, è solo una questione di soldi, perché sono i soldi che fanno andare avanti il mondo”. Ho avuto buon gioco a dimostrargli che questo mito dei soldi che fanno girare il mondo è appunto un mito messo in giro da chi i soldi ce li ha ma non corrisponde alla realtà che, invece, è colta più efficacemente dall’ultimo verso del divin poema: “L’amor che move il sole e l’altre stelle”. Dante ha più ragione e acutezza dell’agente di Wall Street. Non gli ho solo citato Dante Alighieri ma anche Dante Monda, mio figlio: ora ha compiuto 18 anni e provo a pensare quanti soldi mi è costato da quando è stato concepito fino ad oggi.. impossibile fare il conto. E poi gli ho citato Hillary, che ha conquistato l’Everest, Armstrong che ha conquistato la Luna, Andrea (sempre Monda) che ha conquistato Elvira, per non dire di Virgilio, Michelangelo, Colombo, Magellano,Van Gogh, Einstein… che sono stati “mossi” e com-muovono ancora tutto il mondo: in tutte queste conquiste e avventure umane (assurde se viste in termini puramente economici) i soldi c’entrano ben poco. Però il pre-giudizio è duro a lasciarsi demolire: il giovanotto mi guarda e mi dice che “tutti fanno qualcosa solo se gli conviene, è il denaro che spinge la storia, anche voi professori perché in fondo state protestando?”. C’è nelle sue parole un tono di rassegnazione che mi devasta. E’ questo che voglio? Giovani di 14 anni già rassegnati? Già cupi e disperati davanti ad un orizzonte totalmente economico e materialista? Non è possibile, mi devo ribellare. E come farlo? Provo a spiegargli che non è piaciuta ai prof la “procedura” con cui il governo ha deciso di prolungare la nostra settimana lavorativa (senza aumentare lo stipendio), cioè, meglio, l’assenza di ogni tipo di procedura, di concertazione.. però vedo che lo studente già si distrae, mi guarda con una faccia che dice: “vabbè, sarà pure, ma se non ti toccava le ore lavorative tu per caso ti ribellavi?”.

Il Governo del Preside Supplente

Tra l’altro mi sono infognato in un vicolo cieco: gli devo anche spiegare che questa mancanza di concertazione nasce dalla natura stessa dell’attuale governo, fatto di tecnici non-eletti che non si preoccupano affatto dell’impatto delle loro riforme, anche perché sono stati delegati a fare questo “lavoro sporco” proprio dal pavido corpo politico, con una procedura molto anomala dal punto di vista democratico (una vera “sospensione della democrazia” si potrebbe dire)…insomma meglio cambiare discorso altrimenti dovrò fargli capire che è meglio uno sbracato Berlusconi qualunque (almeno è eletto democraticamente) che un Monti pur efficiente e rigoroso. Meglio tornare indietro.

Questo governo in effetti ha qualcosa di già visto per chi si occupa di scuola: è un governo tenuto da un preside (soporifero per giunta) più che da un presidente, ma in realtà è un governo “supplente”, uno che sostituisce il titolare provvisoriamente impossibilitato o debilitato a lavorare. Ora, cosa si può pretendere dal supplente? Lo abbiamo chiamato perché non siamo in grado di fare politiche impopolari ma necessarie e questo supplente ci prova, un po’ in tutte le direzioni, con la goffaggine tipica dei supplenti (in politica non ci si improvvisa), ma con buona volontà, e poi accade il paradosso, che noi lo bastoniamo se poi si mette a fare politiche impopolari.. ma non è schizofrenia? Un po’ come i genitori dei nostri alunni, che ti delegano a direi quei “no” ai loro figli che loro non sono più in grado di dire, però se poi gli dici “no” per davvero vengono e ti bastonano (non solo metaforicamente). Insomma, spettacoli schizofrenici già visti per chi è pratico di scuola.

 Un paese di caste

Realizzare politiche impopolari vuol dire andare a toccare interessi, chiedere sacrifici, fare tagli seri, diciamo pure senza pietà. Del resto “il medico pietoso fa la piaga verminosa”. Del resto il problema dell’Italia è che è diventato un paese fatto di tante piccole caste. Si è perso lo spirito buono della politica, la visione del bene comune, di cogliere l’insieme e il pensare come “noi”, come comunità. Le caste invece si chiudono a riccio, e magari chiedono pure sacrifici, ma solo e sempre degli altri; quanto sono belli i sacrifici (se sono fatti dagli altri)! E quindi tutti sono contenti quando la scure si abbatte per liberalizzare o asciugare il mercato delle farmacie, dell’avvocatura e del notariato o del trasporto taxi, e tutti invocano la scure (anche fisica magari) sulla casta che appare la casta per eccellenza, quella dei politici (che però è la meno numerosa, quindi la meno interessante per il Preside-Supplente-Ragioniere che deve raccogliere in tempi brevi molti denari). Tutti contenti e pronti a fare il tifo per Monti, ma quando si tratta del proprio orticello, ecco la levata di scudi, la palizzata, la chiusura a riccio, quasi a mostrare una nostalgia per la vecchia politica immobilistica. Questo governo invece cambia un po’ le cose, muove l’acqua ristagnante e fa anche la proposta oscena: lavorate un po’ di più con lo stesso compenso.

L’alibi dell’Europa

E qui spunta un altro argomento ormai classico nel dibattito italiano: l’Europa. I professori sono da anni infuriati perché, dicono, sono i meno pagati rispetto alla classifica dei compensi dei prof in Europa. E quindi questa proposta è stata benzina sul fuoco e il fuoco è avvampato. Vogliamo l’equiparazione con i nostri colleghi europei! gridano i prof. E qui nasce un problema, legato ai dati statistici: dovrebbero mettere a tacere le polemiche e invece le accendono. Mi sa che aveva ragione Giuseppe Pontiggia quando diceva che “Ci sono tre tipi di bugie: le bugie, le dannate bugie e le statistiche.”. E comunque anche la linea del governo sembra essere quella dell’equiparazione con i livelli europei, solo che il governo ha preso in considerazione non i compensi ma gli orari di lavoro, da qui la proposta di aumentare le ore settimanali (24 o 21) di lavoro dei prof. Ovviamente i dati non quadrano, non spengono ma accendono il fuoco delle polemiche: c’è chi dice che i dati dei livelli orari non sono quelli ma altri, e viceversa..insomma la Babele delle lingue. Chi vuole equiparare gli stipendi (i prof), chi invece (il governo) vuole equiparare gli orari.. ad occhio mi sa che si potrà trovare un accordo, non sembra difficile. In realtà la situazione è molto complessa, e capisco perché i miei studenti si distraggano quando provo a spiegare la complicata vicenda che sta accendendo le aule e i corridoi degli istituti scolastici e che ora si sposta anche nelle piazze, magari con i ragazzi appresso (i ragazzi seguono sempre i professori). Il mio studente mi guarda sempre con lo sguardo saggio di chi la sa lunga: ma alla fine non è solo un fatto di soldi? In Italia forse non si sciopera (in genere di venerdì) solo per l’aumento? Devo rispondergli, non posso sottrarmi. Ma prima voglio dirgli anche la mia opinione sulla “questione Europa”. Secondo me è sbagliato, per la scuola, questo dogma dell’equiparazione europea. L’Italia è diversa dall’Europa, non solo, ma anche è diversa al suo interno: Milano e Palermo sono diverse, distanti, forse Milano (non solo in termini geografici) è più vicina a Monaco di Baviera che a Palermo. La mia visione è quindi della diversificazione, altro che equiparazione, per il massimo dell’autonomia possibile. In poche parole sono per la scuola pubblica, non per la scuola statale. Lo Stato centrale… aiuto! lo statalismo non è forse un virus durato anche troppo?

Contabilità vs. Generosità

Ma qualcuno potrebbe oppormi la seguente obiezione: e i diritti? C’è scritto anche nel Vangelo (di Luca, cap.10) che “l’operaio ha diritto alla propria mercede” (che non è un auto di lusso, ma la ricompensa) e quindi è sacrosanta la battaglia dei prof che protestano contro un aumento dell’orario senza un corrispondente aumento dello stipendio. Ora la questione dei diritti rappresenta un’altro nodo assai problematico. Da quasi 50 anni l’uomo occidentale non fa altro che rivendicare i propri diritti, richiederne l’allargamento e poi rivendicare anche il rispetto dei nuovi diritti acquisiti. Io voglio la televisione e non me la puoi portare via (la televisione è diventato un bene im-pignorabile come il letto, il tavolo da pranzo e la vera nuziale). Tutti chiedono diritti e ne lamentano sempre la lesione rivendicandone il rispetto. Il risultato è una vita fatta di sentimento, lamento e risentimento. Come dicono i miei alunni “mai una gioia”. Da dove proviene, invece, la gioia? Ecco qua, torno al punto fondamentale: cosa stiamo insegnando ai nostri studenti?

Mi viene in mente Aldo Moro che già nel 1968, dieci anni prima della sua morte prematura e violenta, di fronte all’esplosione della rivendicazione-allargamento dei diritti, sosteneva che “questo paese non si salverà se non nascerà una nuova stagione dei doveri”. Non è forse questo il punto? Mia madre mi ha educato ripetendo “prima il dovere e poi il piacere”, che in fondo vuol dire: cerca prima la gioia, quella vera, e non accartocciarti nel tuo piacere individualistico ed effimero. Già i greci avevano presente che la felicità consiste nel fare la cosa giusta, nel fare il bene.

In questa vicenda, qual è il bene? E intendo bene comune (perché il bene è sempre comune o non è). Il diritto, il nostro diritto di prof, lo conosciamo bene, a memoria, e guai chi ce lo tocca, se ciò accade scatta subito l’automatismo della difesa anche aggressiva. Ma il nostro dovere? E, prima ancora, mi viene da pensare che non si può vivere solo sulla difensiva, la vita deve essere promossa, favorita, allargata, altrimenti siamo destinati al mugugno e al livore. A questo punto mi viene in mente un altro statista ucciso tragicamente (ci sarà un nesso?), J.F.Kennedy che ripeteva: “Non chiederti cosa il tuo paese può fare per te, chiediti cosa puoi fare tu per il tuo paese”. Mi piace questo rovesciamento, il ribaltamento da una visione contabile ad una visione generosa della vita. Non l’inseguimento del proprio piacere o potere individuale ma l’assunzione delle responsabilità. In questo momento di sacrificio generale richiesto a tutti mi sembra quanto mai opportuno sottolineare il senso della responsabilità, della visione d’insieme. Mi sembra anche molto cattolico, il che per un prof di religione cattolica non può che essere rilevante.

Ecco allora il punto: i nostri studenti ci osservano. E’ la loro principale attività, non sono molto interessati dalle nostre lezioni (anche quelle più accattivanti) quanto invece alle nostre persone. Perché sono persone pure loro, cioè esseri razionali che vivono in relazione. E cercano la relazione con noi, cercando anche dei punti di riferimento, stando attenti al nostro esempio, più che alle parole. I ragazzi diventano quello che vedono. Allora, mi chiedo ancora: cosa gli stiamo facendo vedere? Che la vita è una lotta “a non farsi fregare”? Che è importante nella vita “fregare tu prima che gli altri freghino te?”. Che i sacrifici, se puoi, cerca di evitarli perché sono cose senza senso. Che vuol dire, oggi, “sacrificio”? Perché ogni azione deve avere una convenienza altrimenti sei solo un matto fuori dal mondo? Che bisogna dunque rassegnarsi all’andazzo generale, quello che ti dice che è il denaro che muove il mondo e più ne hai più sarai felice? Una parola che non mi convince: i valori; ma quali sono i valori verso cui li stiamo educando? I valori bollati, cioè i valori del denaro e della “visione contabile della vita”? Non è invece preferibile indicargli la via della generosità come strada della felicità? La strada del Bene non quella del benessere. Ad educarli verso il grande idolo del benessere ci pensano già le pubblicità, mentre essere cristiani, come dice Joseph Ratzinger, «significa rendere presente il potere di Cristo come contrafforte al potere del mondo».

Insomma ho cercato in questi giorni di dire una parola nuova contro gli automatismi pigri e polverosi della rivendicazione a oltranza e della lamentazione, una parola di speranza, di gioia e di amore, che loro soltanto sono le fonti della novità. E allora, contro la visione contabile della vita, ho rispolverato un vecchio discorso di un altro uomo politico ucciso per la sua battaglia (e sono tre), Bob Kennedy, il suo famoso discorso sul PIL, ancora molto attuale:

Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell’ammassare senza fine beni terreni. Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell’indice Dow-Jones, nè i successi del paese sulla base del Prodotto Interno Lordo. Il PIL comprende anche l’inquinamento dell’aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine-settimana. Il PIL mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari, comprende anche la ricerca per migliorare la disseminazione della peste bubbonica, si accresce con gli equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte, e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari. Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l’intelligenza del nostro dibattere o l’onestà dei nostri pubblici dipendenti. Non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali, né dell’equità nei rapporti fra di noi. Il PIL non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese.

Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta.Può dirci tutto sull’America, ma non se possiamo essere orgogliosi di essere americani.

 Le cose belle e importanti della vita non rientrano nel PIL, ce lo dice Dante, Michelangelo, Hillary, Armstrong.. gli occhi di mia moglie (che peraltro non mi segue tanto in questa mia battaglia sulle 24 ore settimanali e contro la visione contabile della vita), ce lo dice molto bene Bob Kennedy ed io giro molto volentieri la sua riflessione al mio studente che ripete tristemente “sono i soldi che fanno girare il mondo”. Altrimenti, se non lo facessi, dovrei dire che, in questo momento di lotta contro il governo supplente, io, precario della scuola italiana, non mi sento molto orgoglioso di essere italiano.

Il destino è un’invenzione della gente fiacca e rassegnata“. Ignazio Silone

Diario di scuola/5

Una settimana dominata dal romanzo di E.E.Schmitt (che faccia che ha, eh?), parlo del suo capolavoro “Oscar e la dama in rosa”. Sono 8 anni che lo leggo ai ragazzi del ginnasio e funziona sempre. Io alla fine piango sempre, e non sono il solo. Ecco qui di seguito la pagina che amo di più.. adesso aspetto che i ragazzi mi scrivano qualcosa di personale a partire dall’esperienza della lettura comunitaria in classe ad alta voce.. chissà. Alla prossima settimana!

Caro Dio, 

grazie di essere venuto.

Hai scelto davvero il momento giusto, perché non stavo bene. Forse anche perché eri rimasto turbato dalla mia lettera di ieri…

Quando mi sono svegliato, ho pensato che avevo novant’anni e ho girato la testa verso la finestra per guardare la neve.

E allora ho indovinato che venivi. Era mattino. Ero solo sulla terra. Era talmente presto che gli uccelli dormivano ancora, che persino l’infermiera di notte, la signora Ducru, aveva dovuto schiacciare un pisolino e tu cercavi di fabbricare l’alba. Facevi fatica, ma insistevi. Il cielo impallidiva. Tingevi l’aria di bianco, di grigio, di azzurro, respingevi la notte, risvegliavi il mondo. Non ti fermavi. È stato allora che ho capito la differenza fra te e noi: tu sei un tipo infaticabile! Uno che non si stanca. Sempre al lavoro. Ed ecco il giorno! Ed ecco la notte! Ed ecco la primavera! Ed ecco l’inverno! Ed ecco Peggy Blue! Ed ecco Oscar! Ed ecco Nonna Rosa! Che salute di ferro!

Ho capito che eri qui. Che mi rivelavi il tuo segreto: ogni giorno guarda il mondo come se fosse la prima volta.

Allora ho seguito il tuo consiglio con impegno. La prima volta. Contemplavo la luce, i colori, gli alberi, gli uccelli, gli animali. Sentivo l’aria che mi passava nelle narici e mi faceva respirare. Udivo le voci che salivano nel corridoio come nella volta di una cattedrale. Mi trovavo vivo. Fremevo di pura gioia. La felicità di esistere. Ero incantato.

Grazie, Dio, di aver fatto questo per me. Avevo l’impressione che mi prendessi per mano e che mi conducessi nel cuore del mistero a contemplarlo. Grazie.

A domani, baci,Oscar.”

Diario di scuola/4

Oggi, venerdì, si è parlato molto di Dante.. Dante è mio figlio, che oggi compie 18 anni, l’età degli studenti che ho avuto davanti oggi, due terze liceo (III B e III C) e quindi: maturità, lavoro, destino, futuro, rapporto con i genitori, dialogo con i suddetti.. chi più ne ha più ne metta.

In III B un riferimento al Vangelo, al messaggio di Cristo che, secondo Marzia, ha avuto successo solo tra le fasce più umili della società, tra i poveri perchè è un messaggio che li consola creandogli un sogno futuro, il Paradiso nell’Al di Là. Le ho chiesto a quale classe sociale lei appartenesse e quindi come avesse recepito questo messaggio.. La III B è una classe difficile, quindi affascinante: la prof di filosofia è proprio anti-religiosa, anti-cattolica.. e l’impronta mi sembra molto materialistica-marxista etc. etc. Ci siamo dati appuntamento per venerdì prossimo, non senza prima accennare al fatto che senz’altro il cristianesimo ha avuto un forte impulso, nei primi secoli, anche dalla venatura “sociale” che accompagnava l’annuncio del Vangelo, il riscatto delle classi più deboli (donne, bambini, poveri e schiavi) mentre oggi l’opulenza raggiunta non più da singoli individui ma da grandi fette della popolazione, ha creato qualche problema alla diffusione di quel messaggio, e che però non si può ridurre la storia del cristianesimo ad un fatto meramente socio-economico. Il gioco si fa duro, ma vuol dire che ci si prende più gusto. Alla prossima settimana!