Pare insomma che sia difficile spiegare ai miei giovani studenti di ginnasio chi siano i Papi e chi siano i santi. Ad esempio, chiedo, che cosa fa il Papa? Qual è la sua funzione? Secondo Emiliano, il Papa è la massima autorità della Chiesa, il rappresentante di Dio in Terra. Un po’ forte quest’ultima caratterizzazione, ma qualcosa si vede all’orizzonte.
Però, tra le due categorie, i santi risultano molto più simpatici dei Papi, lo intuisco anche dalla coltre di ignoranza che ricopre la realtà storica dei successori di Pietro. A proposito del pescatore di Cafarnao (nome del tutto sconosciuto, a tutti), quando chiedo il suo nome vero, solo un alunno mi risponde: Simone. E se poi domando perché questo nuovo nome, la risposta è quasi grottesca: «Sì, Pietro perché lui ha dovuto mettere la prima pietra…».
Mi esaspero e chiedo qualche altro nome all’interno della lunga serie dei sommi pontefici e arriva Papa Enrico e anche “Papa Padre Pio”… Indeciso sul da farsi (ridere, piangere, disperarmi), mi appoggio al nome del santo di Pietrelcina per spostare l’angolazione e chiedere in merito ai santi, ma anche qui avverto la difficoltà dei ragazzi a esprimere una cosa che però, confusamente, conoscono.
Alessandro si immette nel filone “miracolistico”: il santo è colui che realizza prodigi, che fa cose grandiose, eroiche. Gli cito una frase dell’ultimo santo proclamato dalla Chiesa cattolica, san Giovanni Paolo II, per cui i santi non sono coloro che fanno cose straordinarie, ma che fanno straordinariamente cose ordinarie.
Sulla stessa lunghezza d’onda e negli stessi anni l’allora cardinale Ratzinger ricordava come due siano le migliori apologie della fede: la bellezza dell’arte e la bellezza della vita dei santi. Per un attimo subisco ancora, come nella scorsa lezione, il fascino della via pulchritudinis, ma devo resistere e percorrere la strada della santità, è troppo importante in questo momento storico con due Papi sugli altari (e un terzo, Paolo VI prossimo beato), altrimenti questi ragazzi si commuovono pure per Karol Wojtyla santo (che loro ricordano solo molto vecchio, sono nati nel 1999), ma tutto rimane a livello sentimentale e vagamente emotivo.
Riparto quindi da Ratzinger, anzi da Benedetto XVI, che sul tema ha avuto parole splendide come queste: «I santi semplici, cioè le persone buone che vedo nella mia vita, non saranno mai canonizzate. Sono persone normali, per così dire, senza eroismo visibile, ma nella loro bontà di ogni giorno vedo la verità della fede. Questa bontà, che hanno maturato nella fede della Chiesa, è per me la più sicura apologia del cristianesimo e il segno di dove sia la verità», ma il cammino è evidentemente ancora molto lungo.
(Uscito oggi, 14 maggio 2014, sulla rubrica Parole Perdute, in terza pagina di Avvenire)
Categoria: Chiesa/Bibbia
Parole perdute: santi, papi, numeri..
Andrea è sicuro, spedito: «Per me è chiarissima l’immagine di Dio, prof, ha presente Zeus?». «A quale immagine di Zeus ti riferisci?». «Quello di lui con la barba folta e i capelli al vento, quando sta così con il braccio teso…» e mima il gesto per cui io comprendo, inequivocabilmente, l’equivoco: sta parlando dell’affresco michelangiolesco della creazione di Adamo, con il dito di Dio che quasi tocca (o ha appena toccato?) il dito del primo uomo.
A me Andrea è simpatico, anche per una specie di solidarietà per omonimia, ma questa volta si è superato sovrapponendo e confondendo il nome di Zeus al volto del Dio raccontato dal libro della Genesi. Però in fondo ha espresso una suggestione molto diffusa, quella legata alla potenza immaginifica dell’arte di Michelangelo, quell’arte che ha spinto Karol Wojtyla nel suo Trittico Romano del 2003 ad affermare che: «Il Libro aspetta l’immagine – È giusto: aspettava un suo Michelangelo».
Una creazione, quella di Dio, incompleta, che attende l’opera, anche artistica, dell’uomo. Sono tentato di intraprendere questa strada che mi si è spalancata davanti, la strada della Bellezza, via pulchritudinis… ma forse è meglio procedere gradualmente, ho davanti a me i quattordicenni del ginnasio, non i maturandi del liceo e approfitto dell’aver citato Giovanni Paolo II, da qualche giorno elevato agli onori degli altari per abbassare il livello (almeno secondo me).
Sul volto dei santi, di San Giovanni XXIII e di San Giovanni Paolo II, splende la bellezza del volto di Dio, chiedo quindi loro cosa hanno capito del grande evento di domenica 27 aprile con la duplice canonizzazione. Le risposte sono vaghe. Li aiuto con qualche domanda: «Chi è, cosa significa essere santo?», «Chi è il Papa?». Anziché scioglierli li ho bloccati. Succedono a volte degli strani incastri per cui le conversazioni prendono pieghe impreviste che portano a vicoli ciechi. Cerco di venirne fuori: «Non è la prima volta che un Papa è proclamato santo, ma innanzitutto chi è stato il primo Papa?».
Incrocio con lo sguardo Pierluigi, che si ritiene formalmente interrogato e risponde: «Pio XII». Qualcuno ride, io dentro di me piagnucolo, e rincalzo: «Qui il problema mi sembra la matematica, non la storia: e i primi undici che fine hanno fatto?». Sergio, il compagno di banco, gli suggerisce: «Pio I!». «Lasciamo perdere Pio, forza, quando è iniziata la storia della chiesa?». «Nel 1850». Chissà perché quella data poi, mi chiedo e penso tra me e me: la questione merita di essere indagata, me lo riprometto, ma avverto forte la malinconia di non avere preso la via pulchritudinis…
(Apparso su Avvenire del 7 maggio 2014)
Il (quarto, quinto…) potere è nudo
Martedì scorso, 29 aprile, durante la trasmissione televisiva Ballarò, è stato intervistato da Giovanni Floris il vescovo Mons.Nunzio Galantino, di recente nominato Segretario Generale della CEI da Papa Francesco e tra le altre cose, con quel candore concretissimo che li contraddistingue (a lui e al Papa), ha espresso un concetto semplicissimo, capace quindi di denudare il re, anche quel re irsuto e ostico rappresentato dalla stampa, dalla televisione e dai mass-media, i cosiddetti quarto e quinto potere. Mons.Galantino ha detto che i politici dovrebbero stare più per la strada, a stretto contatto con la gente del popolo, per sentirli più vicini, farsi sentire più vicini, comprendere meglio le loro esigenze in modo da servirli più convenientemente. E quindi ha rivolto una preghiera a tutti quei giornalisti che sempre si affollano attorno ai politici (ha fatto l’esempio più eclatante, quello di Renzi, il giovane premier italiano) e che proprio facendo così impediscono il contatto tra gli uomini politici e gli uomini del popolo, tra i governanti e i governati.
Mons.Galantino ha colto nel segno, la sua è stata una puntura, una piccola trafittura che infatti ha tolto il fiato per un attimo al loquace conduttore della trasmissione che non ha potuto far altro che sorridere per un secondo, segno che dovrebbe aver capito (il condizionale è d’obbligo, vista la tendenza di Floris a sorridere sempre a tutto e a tutti, forse per il gusto di esibire la smagliante dentatura). Continua a leggere
Due Papi, due gesuiti
Il 22 febbraio nella Basilica di San Pietro, per il concistoro che ha creato 19 nuovi cardinali, si è presentato a sorpresa anche il Papa emerito Benedetto XVI. L’immagine di Papa Ratzinger che si toglie il copricapo in un saluto di omaggio a Papa Bergoglio ha già vinto la gara per la foto dell’anno 2014. Una sorpresa appunto perchè un anno prima Benedetto XVI aveva annunciato, in latino, la sua decisione di dimettersi e di rimanere “nascosto al mondo”. E così è stato, con qualche eccezione, pochissime in verità, meno delle punta delle dita di una mano sola, rarissime occasioni in cui il mondo ha potuto ancora rivedere Joseph Ratzinger. Rivederlo, magari in una foto (in cui si saluta e abbraccia con il suo successore che, così si è saputo, lo va spesso a trovare) oppure rileggerlo, come nel caso di buona parte della Lumen Fidei o della recentissima lettera del 24 gennaio al collega teologo Hans Kung di cui è stato reso pubblico l’elogio al Papa argentino: “Io sono grato di poter essere legato da una grande identità di vedute e da un’amicizia di cuore a Papa Francesco. Io oggi vedo come mio unico e ultimo compito sostenere il suo Pontificato nella preghiera”. E il 22 febbraio il mondo lo ha potuto rivedere proprio lì, nel luogo “papale” per eccellenza, a due passi dal baldacchino del Bernini sotto la cupola di San Pietro. L’effetto è un po’ strano, in effetti, e alcuni, forse gli stessi che non hanno ancora digerito il gesto clamoroso delle dimissioni, hanno storto il naso: “ma non aveva detto che spariva?”.
Perchè lo avrà fatto Benedetto? Nostalgia? Incapacità a restare recluso? Difficile a dirsi. Secondo me c’è qualcosa che lega la lettera del 24 gennaio con l’apparizione del 22 febbraio, un legame che si ritrova nella parola “compito”. Ratzinger è un uomo quieto e diligente, che sa, come scriveva il gesuita Teilhard de Chardin che “c’è un’opera umana da compiere”, che ogni uomo vive la sua vita – lo ha detto anche quando era Papa regnante – come una risposta ad una chiamata, una risposta da dare con generosità, anche se questo può costare sacrificio, anche se può voler dire rinnegare se stessi. Il compito che oggi il Papa emerito sente come impellente è sostenere il Papa governante; e se questo significa anche muoversi, uscire dalla clausura per andarlo ad abbracciare, in un momento in cui crescono le voci dissenzienti rispetto al Papa venuto dalla fine del mondo, allora ci si alza e si va, anche se si era promesso al mondo il totale nascondimento (anche perchè le voci di chi dissente tendono continuamente a contrapporre i due Papi, a mettere Francesco contro Benedetto).
Tutta la vita di Ratzinger è stata servire il Papa, magari contraddicendo i propri desideri e progetti, sin da quando Paolo VI nel 1978 lo ha nominato vescovo e poi Giovanni Paolo II lo ha voluto a Roma dal 1981 a tenere l’ingrato incarico di prefetto della Congregazione della dottrina delle fede. Ed è quello che oggi l’anziano pontefice continua a fare.
Un vero e proprio shock ha colpito i gesuiti quando il 13 marzo scorso è stato eletto il primo Papa gesuita, espresso efficacemente all’indomani dell’evento da padre Antonio Spadaro, direttore della Civiltà Cattolica: “Noi gesuiti facciamo quattro e non tre voti, l’ultimo dei quali è quello di totale fedeltà al Papa; siamo stati da sempre abituati a servire il Papa, ora dovremmo abituarci ad una cosa assolutamente nuova, ad avere un Papa gesuita, forse non siamo ancora pronti”. Il Papa “vero” è Bergoglio, ma forse è Ratzinger il vero gesuita?
Gesù è risorto, perché? per chi?
Gesù è dunque risorto, ho cercato di spiegarlo ai miei studenti, distinguendo la resurrezione dalla reincarnazione, oggi così di moda. Meglio dire “annunciarlo”, che è l’unica cosa da fare con il Vangelo, la Buona Notizia, anche in un contesto scolastico.
Se fossi solo “uno che spiega”, si perderebbe qualcosa: con alcune cose, come la vita, più che spiegare si tratta di (lasciar) “dispiegare”.
Dunque, quale sarebbe la buona notizia, per me, per il mondo? Per rispondere bisogna risalire al senso della missione di Gesù e farsi qualche altro interrogativo (i miei alunni dicono che faccio troppe domande) e chiedersi per quale motivo, quel giorno, il primo dopo il sabato, il 9 aprile del 30 dopo Cristo, secondo gli studi più approfonditi, questo evento è accaduto? Quel fatto di venti secoli fa, annunciato dalle donne che tornano agitate dal sepolcro, che rilevanza ha per me, qui, oggi?
Rileggo ciò che questi ragazzi di 14-15 anni hanno scritto su quel compito estemporaneo che ho dato loro («Tutto quello che so su Gesù»), un’autentica miniera inesauribile, soprattutto quando si concentrano sui motivi della morte e della resurrezione di Cristo.
Scrive ad esempio Martina che Gesù «intorno a sé aveva 12 discepoli fedelissimi, gli Apostoli, tra cui Pietro (fondatore della Chiesa), Giovanni (il più fedele) e Giuda che sarà poi il suo traditore. Era perseguitato dai Romani e dagli Ebrei, che lo consideravano un ipocrita, poiché si denominava “re dei Giudei”».
E Stefano, con un lessico alquanto “singolare”, aggiunge che: «Ogni suo gesto spiega come l’essere umano è libero di scegliere, nel bene o nel male. Persone ancora oggi lo rinnegano pensando che non sia esistito, ma essi sapranno veramente i gesti compiuti? Nato a Betlemme, è riuscito a portare con lui dei seguaci, i 12 apostoli. È stato tradito, ma appunto il suo grande cordoglio ha portato a perdonare. Questo è Gesù».
Mi appunto la parola “perdono”, dovremmo tornarci sopra, ma è il testo di Simona che colpisce la mia attenzione, un po’ per la confusione che emerge, ma anche per l’attualizzazione che riesce a compiere, a modo suo: «Gesù è la nostra guida e soprattutto il nostro sostegno, la gente ogni giorno ha bisogno di aggrapparsi a qualcuno ha bisogno di sfogarsi e incolpare qualcuno! Molte volte quando ci succede una disgrazia si dà sempre la colpa a Gesù o a Dio per il fatto che non è colpa di nessuno e non si sa come e con chi arrabbiarsi. In questo modo Gesù ci dà il suo amore ci ascolta ci fa sfogare e ci guida perché molte volte per aiutarci scende a terra e compie quelle cose dette “miracoli”».
(il presente articolo è apparso in Parole Perdute di Avvenire del 23 aprile 2014)