Parole perdute: la de-cisione

nodo-gordiano“La morte è l’opposto della nascita, non della vita” ripete Flavia, maturanda, e aggiunge una battuta formidabile: “La vita non ha opposti”. Il mio percorso attraverso i “novissimi” (morte, giudizio, inferno e paradiso) è piacevolmente accidentato: la ricchezza dei significati da indagare è tale che le strade inevitabilmente si biforcano e quindi parlare della morte conduce ad esempio a ripensare alla vita, al suo mistero, quella cosa che “non ha opposti”. La battuta di Flavia mi fa pensare al verso di Neruda “E’ per nascere che siamo nati” e alla riflessione di Chesterton per cui “l’avventura più grande non è sposarsi ma nascere”. Ai ragazzi tutto questo amore per la vita piace, lo percepisco mentre cito il poeta cileno e il romanziere inglese, al punto che mi sento costretto a controbilanciare riproponendo l’elemento “nero”, il fatto crudo della morte che altrimenti rischia di essere considerato un qualcosa di estraneo rispetto alla vita. “E invece noi facciamo esperienza del morire, per fortuna a piccole dosi tutti i giorni”. I ragazzi mi seguono più silenziosi, quasi infastiditi: la morte è servita in tutte le salse dai mass-media e dalla rete ma non se ne deve parlare; è così sovraesposta che è come svuotata, un simulacro privo di concretezza e di significato. Cerco l’esempio più vicino alla loro esperienza quotidiana: “Cosa dite quando ogni pomeriggio si tratta di cominciare a fare i compiti?”. Le risposte fioccano. “Non dite forse: che noia mortale? E perchè parlate di morte? Perchè vi trovate davanti ad una de-cisione. La de-cisione (“tagliare-via”) è una piccola uc-cisione (e qui parte il gioco, alla lavagna, delle parole collegate: pre-cisione, re-cisione, con-cisione, circon-cisione…) perchè per scegliere una strada dovete “uccidere” tutte le altre, per selezionare un’opzione dovete far morire le altre, per amare una donna, per de-cidervi per lei, dovete uc-cidere tutto il resto del mondo”. Il riferimento all’amore, che è “selezione”, li ha colpiti e forse convinti. “Le decisioni sono sempre pesanti, perchè hanno l’odore della morte, sono un attraversamento della morte per giungere ad una nuova vita, e chi vuole rimanere toti-potente, rimarrà impotente, paralizzato dalla mera potenzialità. Il bruco deve “morire” per diventare farfalla, il bambino per diventare adulto. Parafrasando Pirandello: se vuoi essere centomila, rischi di essere nessuno, solo quando decidi di essere uno sei davvero qualcuno. E’ qui il segreto agrodolce dell’esistenza: ogni momento della vita è de-cisivo, almeno per il credente, per chi deve rispondere ad una proposta d’amore, che porta a nuova vita attraverso la “morte” di tutto il resto”.

Parole perdute: Morte/2

ave maria segantini«Sapete come si chiama il giorno della morte nel cristianesimo?», nessuna risposta, i ragazzi non amano parlare della morte e non sanno molto del cristianesimo: «Si chiama dies natalis il giorno della nascita, dell’entrata nella vita piena». Li ho colpiti: la paradossale dimensione della gioia cristiana, anche di fronte al buio che proviene dalla presenza misteriosa della morte li scuote, li irrita, li interroga. «Io non trovo nulla di bello nella morte, che c’è da gioire?», dice sbadigliando Nicola, ultimo anno di liceo, in questa prima ora di una fredda e piovosa mattina di febbraio. Cerco di spiegargli che non c’è bellezza nella morte, ma una cosa è pensare che la morte sia solo la fine, l’interruzione di tutto, il vicolo cieco in cui ci si ritrova dopo il viaggio della vita, un’altra cosa è credere che quella fine sia un confine, un momento di passaggio, un’apertura verso un “venire alla luce” più grande di quello della nostra nascita. «Ma la morte non è nulla – riprende Giacomo – non è nulla perché dopo non esiste nulla, la morte non mi riguarda, come diceva Epicuro». Tre anni di filosofia hanno il loro peso. Colgo l’occasione per sottoporre a critica la visione epicurea per cui «la morte non è nulla per noi, giacché quando noi siamo la morte non è venuta, e quando è venuta non siamo più», che affascina, forse per il suggestivo e consolante gioco dialettico che provo a smontare ripartendo dall’evento opposto alla morte, la nascita. «La società odierna ha finito con il pensare, un po’ come Epicuro, che la morte non faccia parte della vita, che la morte sia l’opposto della vita, ma non è così. La morte è l’opposto della nascita, non della vita. Entrambe fanno parte della vita, anzi ne sono gli ingredienti salienti, le due colonne che reggono la nostra esistenza sulle quali però non riflettiamo, la prima perché persa nell’oblio, la seconda perché rimossa a causa dell’angoscia che l’avvolge. Eppure, il vivente è un morente e il morente è un vivente. La morte non si subisce come un corpo estraneo che irrompe all’improvviso ma fa parte della vita e getta una luce sul suo mistero, come momento della verità. La morte si vive e si vive con lo stesso stile con cui si è vissuta la vita».
Difficile far rientrare dalla finestra ciò che è stato sbattuto fuori dalla porta, la morte, quell’ospite sgradito che è stato rimosso come un veicolo in sosta vietata; ma oggi, in Occidente, è la sosta stessa a essere vietata: non ci si può fermare, magari sostare un attimo a meditare, no, nessuna interruzione al flusso frenetico del fare, produrre e del consumare, un flusso questo sì, che puzza di morte.

Grazie Benedetto

Oggi festa della Beata Vergine di Lourdes, giornata del Malato, ricordo dei Patti Lateranensi e primo anniversario dello straordinario gesto di Papa Benedetto XVI, un gesto che avrà bisogno di molto tempo per essere ancora metabolizzato. Tra le tante cose dette e fatte da questo piccolo grande Papa, mi colpisce la semplicità, l’essenzialità di questa confidenza che ha rivelato nel libro intervista Luce del mondo:

“Tutta la mia vita è sempre stata attraversata da un filo conduttore, questo: il Cristianesimo dà gioia, allarga gli orizzonti. In definitiva un’esistenza vissuto sempre e soltanto ‘contro’ sarebbe insopportabile”.

Benedetto arcobalenoEccolo ad Auschwitz dove anche Dio Padre lo saluta (con il suo stile inconfondibile)

Parole perdute/Morte

Caravaggio_-_San_GerolamoA volte le parole si perdono perché sono le ultime. È il caso di “escatologia”, dal greco “le parole ultime, che riguardano le ultime cose”. È una parola oggi impronunciabile, che quasi fa sorridere i ragazzi che non l’hanno mai sentita e in effetti è difficile sentirla circolare anche se ha un’importanza centrale per il cattolicesimo, proprio come “salvezza” e “grazia”, con le quali realizza un intreccio indissolubile. Parlare della fine, dell’estremo confine della vita ha un impatto duplice sugli studenti: da una parte c’è una sorta di rifiuto, dall’altra si avverte il fascino esercitato da questo argomento. La sfida allora è superare il crinale del rifiuto per giungere a quella prateria dell’interesse, perché la fine della vita interessa nel senso etimologico di “inter–esse”, “stare–dentro”, si trova dentro l’anima degli studenti: la domanda che alberga nel cuore dell’uomo è la domanda sulla fine e sul fine dell’esistenza. Mi concentro e cerco di far concentrare i ragazzi sul molteplice significato della parola “fine”, inteso come termine (al femminile), come scopo (al maschile) e come limite, se lo leggiamo come con–fine.
E qui calo l’asso del latino e cito i “Novissimi”. I ragazzi ignorano di cosa stia parlando, mi tocca spiegare che con questa espressione si fa riferimento alle ultime cose, quelle che verranno, come quando si dice all’edicola, “è uscito il nuovo numero di Tex?”, dove “nuovo” sta appunto per ultimo, il più recente, quello che sta per uscire. E i novissimi, “quelle cose che stanno per uscire” sono, per la teologia, essenzialmente quattro: morte, giudizio, inferno e paradiso. Comincio quindi dall’inizio, dalla morte, ma qui vedo che sorgono già i primi problemi. La dicotomia tra rifiuto e fascino è netta, nel senso che i primi due, morte e giudizio, vengono rifiutati, mentre inferno e paradiso ancora esercitano un grande interesse sui giovani (da qui forse l’imperituro fascino della Divina Commedia di Dante). Se parlo della morte avverto il disagio strisciante tra i banchi, alcuni sono stati già feriti, chi di striscio, chi molto da vicino, da questa esperienza che accomuna tutti gli uomini; forse anche Giulia, la più brava della classe, che esclama: «Ma professore, perché, lei viene a parlarci della morte, a turbare così il mio equilibrio, la mia serenità?», con un tono tra il candido e l’infastidito. Disarmante. Ma anche inquietante: questi ragazzi posseggono un equilibrio, beati loro, e non vogliono turbamenti. Papa Francesco sarà pure “in”, ma non quella sana inquietudine di cui parla ripetutamente. Dovrò riprovare per un altro “valico”, la sfida si fa più ardua del previsto.

Parole perdute: gratuità/2

bob_kennedy1Ancora sulla gratuità e la smisuratezza. Tema essenziale, non facile da comunicare. Mi aiuta un video della Uaar. Il cacofonico acronimo sta per Unione Atei Agnostici e Razionalisti, nemici giurati, tra gli altri, anche dei prof di religione. Sono loro molto grato per uno spot che mostro regolarmente a tutti i miei alunni: su una panchina ci sono due giovani di circa 30 anni. Un passante butta una bottiglia di plastica. Uno dei due, un bell’uomo sportivo con la barba (una bella camicia azzurra come i suoi occhi vispi) la prende e spiega all’altro: «Che incivile! Pensa che con 20 di queste si può fare un maglione di pile». «E tu come lo sai?», chiede l’altro (vestito di nero, con l’espressione un po’ tonta). «Me lo ha detto mio figlio, gliel’ha spiegato il professore di ora alternativa». «Invece il professore di religione a mio figlio ha spiegato che Abramo stava per uccidere suo figlio», e poi confessa: «Da allora non mi parla più». I due si guardano e il padre tonto, sconsolato, sospira: «Sai com’è…», cercando una sponda; ma l’altro è implacabile: «Veramente no» e poi si gira soddisfatto guardando fissa la panchina mentre passa in sovraimpressione una scritta: «Hai diritto a un’alternativa. Hai un’alternativa all’ora di religione. Fai valere il tuo diritto, per una scuola all’avanguardia». Non c’è che dire, lo spot è confezionato bene. In meno di 90 secondi ci sono tutti gli elementi giusti (ecologismo, scientismo) e il linguaggio, con quella insistenza sulla rivendicazione dei diritti, è in piena sintonia con il clima del momento storico. È così efficace, a prima vista, che i ragazzi all’inizio non afferrano perché glielo abbia mostrato: «Ma questo è contro di lei, professò!», esclama Matteo, vuole capire. Chiamo in aiuto Bob Kennedy e il suo discorso sul Pil e la pubblicità di Mastercard: piano piano cominciano a comprendere. Rifaccio vedere lo spot (la Uaar mi dovrebbe un compenso) e ora è più chiaro: si, è vero, il padre “alternativo” è uno che sa, sa tutto, «purtroppo è tutto quello che sa» (avrebbe detto Wilde), però ignora le uniche cose per cui la vita è degna di essere vissuta (avrebbe detto Kennedy). Pensa di sapere tutto perché tutto misura, sa addirittura quante bottiglie di plastica ci vogliono per fabbricare un maglione di pile, però quando l’altro papà gli parla di problemi vitali, ecco che è costretto a rivelarsi ignorante. Della vita non sa nulla, forse perché non ha letto niente di Abramo e di Isacco, e nemmeno le parabole di Gesù, in cui si parla di padri e figli e di amore smisurato. La sua è saccenza, non sapienza, il suo cuore è freddo come un calcolatore, forse perché non c’è spazio per la gratuità.