“Io cerco le parole, professore. Cerco le parole, perché secondo me sono quelle la strada per il tuo cuore” dice il Nero al Bianco ad un certo punto di Sunset Limited, testo teatrale poi diventato anche film dello scrittore americano Cormac McCarthy. È un testo che i miei studenti conoscono bene, che hanno deciso di mettere in scena, tanto li ha coinvolti questo dialogo crudo e serrato tra il volgare e violento credente e il raffinato ma disperato professore aspirante suicida che non crede più. Spesso mi riferisco a quel testo: ogni gruppo che si rispetti possiede infatti un codice, un gergo, e questo di McCarthy fa parte del lessico di molti studenti del liceo classico Albertelli di Roma.
La Bibbia, che il critico letterario Northrop Frye ha definito “il grande codice” della letteratura occidentale, è un infinito bacino di parole e immagini a cui gli uomini continuamente attingono, il più delle volte per trovare “la strada del cuore” di cui parla McCarthy. Il cuore altrui ma anche il proprio, perché spesso l’enigma è proprio il nostro cuore, questo grande sconosciuto. Misterioso è il cuore degli uomini e le parole possono essere vie per introdurci in questo mistero. Le parole della Bibbia sono vie potenti perché hanno la forza di scardinare le porte e i muri che proteggono (fino a soffocare) i cuori dei giovani, di dargli ossigeno, e così, nel lavoro di professore di religione, uno dei miei compiti, apparentemente uno dei più semplici, consiste nel portare questo scrigno pieno di tesori all’orecchio e all’intelligenza dei miei studenti. Oggi però il compito si è fatto più difficile; non c’è più dimestichezza, confidenza, con quel testo, con quelle immagini. Adamo ed Eva, Caino e Abele, Abramo e Isacco, Mosè, Davide e Golia, Erode e Pilato, Simeone e Caifa …sono nomi che stanno scomparendo come ricordi antichi e confusi. E con loro scompaiono anche le parole della fede biblica: alleanza, patto, testamento, sacrificio, grazia, salvezza.. tutte parole perdute ed io mi trovo come Noè a salvare tutto quello che posso dal diluvio, una metafora che quando la uso non viene subito colta dai ragazzi.
È lo stesso fenomeno che si verifica con le altre materie scolastiche, con la storia, con la geografia, con le regole della matematica o dell’italiano, ma fa impressione nel caso della religione, per il nesso inscindibile che c’è tra essa e la vita, un legame più profondo rispetto a tutte le altre discipline. Può essere dunque utile passare per altre vie, per altre parole, anche per quelle della letteratura o del cinema, sapendo bene che sotto c’è il grande codice della Bibbia, che ogni testo, anche quelli duri e violenti di McCarthy hanno dentro quel pre-testo che è la Parola che non si perde mai.
In parte è vero che il professore è un po’ come Noè, che salva dal diluvio tutto quello che può. Il diluvio innanzitutto della superficialità, la grande sfida del professore di oggi.
Il problema è dato, paradossalmente, non dalla povertà delle informazioni ma dall’estrema ricchezza, ma solo a livello quantitativo, che sommergono quotidianamente gli adolescenti del terzo millennio. In questo diluvio quotidiano è molto difficile “vagliare tutto” come esorta l’apostolo Paolo, il discernimento è quanto mai difficoltoso e l’accumulo indiscriminato porta ad un abbassamento dello spirito critico e ad una grande confusione.
«Noè è quello delle Tavole della Legge, vero prof, sul Sinai giusto?», mi chiede Andrea, poco convinto in verità. Per fortuna le ragazze sono, generalmente, più preparate e precise: «Che dici, Noè è quello del diluvio e dell’arca – esclama Arianna – quando Dio ha voluto punire l’umanità con la pioggia». A questo punto mi tocca precisare la precisazione di Arianna e devo intervenire, in genere cerco di limitare i miei interventi quando sono i miei studenti a condurre la discussione, e dico: «Non è stata proprio una “punizione”, il Dio della Bibbia in realtà non passa il tempo a castigare gli uomini: più che un castigo è stata una ripartenza, una nuova possibilità». «Sì, ma sono morti tutti!»; ribatte Arianna.
Mentre le rispondo rifletto che ci sono alcune parole che nel diluvio della superficialità non sono andate perdute, però a volte sono quelle sbagliate: castigo, punizione… questa idea di un Dio giudice implacabile, più duro delle antiche divinità pagane e della loro collera, questa idea così sballata si è salvata ed è rimasta a galla, anzi forse è proprio a causa della grande confusione a livello intellettuale e culturale che le idee storpiate della religione sopravvivono.
Devo provvedere a raddrizzarle, a rimettere al centro la barra del timone della mia piccola “classe-arca”: «Dio non ha ucciso tutti quegli uomini, erano già morti compiendo il male e la loro vita era corrotta, inaridita. Dio ha rigenerato l’umanità offrendo a tutti – tramite Noè e la sua famiglia rinasce l’intera umanità – una seconda possibilità, cosa che in genere noi uomini quando giudichiamo non facciamo mai».
E qui calo l’asso “cinematografico” che spesso funziona: «Hai presente Wall-E? È un remake del racconto di Noè, gli uomini erano così corrotti che il mondo è diventato luogo di morte, irrespirabile, ma Dio provvede anche a rimetterlo a posto, a renderlo vivibile. E lo fa salvando tutti per mezzo di uno, Noè, che si trascina nell’arca tutto il mondo, come dice la frase del Talmud citata in Schindler’s list…» e qui Arianna mi brucia sul tempo: «Chi salva un uomo salva il mondo intero». «Brava, sai cosa significa il nome di Gesù, vero?». Silenzio. «Dio salva».
(il presente testo è stato pubblicato in due parti sulla rubrica settimanale “Parole perdute” di Avvenire i 27 agosto e il 3 settembre 2014)