Arrivo alla fermata dell’autobus per andare a scuola, il freddo mi intorpidisce e sono anche un po’ di malumore (la scuola è occupata) e mentre sto per chiudermi definitivamente al resto del mondo, inserendo anche il secondo auricolare della cuffia del mio Iphone qualcosa, anzi qualcuno attira la mia attenzione: due bambini stanno lì, girellando intorno al palo della fermata e schiamazzano, già ora, alle sette del mattino. Sono evidentemente due fratellini, devono avere 7 ed 8 al massimo, uno, il più piccolo, gioca con il suo smartphone mentre l’altro canticchia e gira tenendosi con una mano al palo. Ecco che da lontano, si vede il bus che sta curvando per dirigersi a prenderci; “Urrà!” grida il più grande e aggiunge: “Un miracolo! Un miracolo di Gesù!”. Mentre grida al miracolo saltella alzando le mani in senso di giubilo. Il fratello più piccolo si incammina verso l’autobus che sta frenando e aprendo le porte e gli dice con un pizzico di stizza: “Io lo sapevo, già lo sapevo…” e gli mostra il suo smartphone: non ci stava giocando, ma indagando sull’App dell’Atac le notizie relative all’arrivo degli autobus di quella fermata.
Ne L’uomo che fu Giovedì Chesterton aveva ricamato una bel gioco di parole partendo dalla famosa Victoria Station, per cui è davvero una “vittoria” l’arrivo di ogni treno: “Tutte le volte che un treno arriva alla stazione, io ho il senso che si sia aperta la strada sotto il fuoco di innumerevoli batterie, e che l’uomo abbia vinto il caos […] Tenete per voi il vostro Byron che commemora le disfatte degli uomini. Io verserò lacrime d’orgoglio leggendo l’orario delle ferrovie”. Dallo humour inglese all’ironia romana: subito penso che in effetti quando arriva l’autobus a Roma c’è proprio da esultare e gridare al miracolo, ma a volte è meglio girare disarmati e deporre lo scudo dell’ironia, è proprio la gioia di questi ragazzi a costringermi al disarmo. Guardo questi due fratelli, il più alto e grosso che ancora salta di gioia, l’altro più scaltro e tecnologico e mi viene in mente il famoso aforisma di Einstein: “Ci sono due modi di vivere la tua vita. Una è pensare che niente è un miracolo. L’altra è pensare che ogni cosa è un miracolo”. La scena che ho davanti agli occhi è impossibile da catturare con le parole: come racchiudere in linguaggio verbale quel saltello giubilante del bambino? Penso alla verità racchiusa in un’altra frase di Chesterton: “La misura di ogni felicità è la riconoscenza. Tutte le mie convinzioni sono rappresentate da un indovinello che mi colpì fin da bambino, L’indovinello dice: che disse il primo ranocchio? La risposta è questa: “Signore, come mi fai saltare bene”. In succinto c’è tutto quello che sto dicendo io. Dio fa saltare il ranocchio e il ranocchio è contento di saltellare”. Quel bambino che grida al miracolo è davvero un ranocchio e può saltellare perchè è un anfibio: vive in due mondi, uno soltanto è lo stesso in cui vivo anch’io, qui, vicino alla stessa fermata dove ogni mattina aspetto ansiosamente l’autobus.
(questo articolo è stato pubblicato da Avvenire l’11 dicembre 2015)